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Scorporo della manodopera: il Consiglio di Stato promuove l’interpretazione ANAC. O no?

Cons. Stato, V, 19 novembre 2024, nn. 9254 e 9255

Dopo quella di qualche giorno fa (cfr. questo articolo) arriva la prima vera pronuncia del Consiglio di Stato (V, 19 novembre 2024, nn. 9254 e 9255) sull’interpretazione dell’art. 41 c. 14 del Codice.

In primo grado (cfr. questo articolo) il T.A.R. Calabria non aveva escluso la possibilità di ribassare la manodopera, ma aveva precisato che il ribasso poteva avvenire in via “indiretta” (ovvero in via separata rispetto “all’importo assoggettato al ribasso” sul quale applicare la relativa percentuale di ribasso),  purchè giustificato da una “più efficiente organizzazione aziendale”.

Il Consiglio di Stato riforma la pronuncia resa in primo grado, sebbene non in relazione a detto specifico profilo, con una sentenza povera ed appiattita sugli approdi della giurisprudenza di primo grado, che a causa del velo di ambiguità che l’avvince non riesce a chiudere definitivamente la partita.

Dopo aver tratteggiato l’ordito normativo, il Collegio ritiene “anche nel vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, come del resto riconosciuto dal primo giudice, è ammesso il ribasso sui costi dalla manodopera indicati dalla stazione appaltante nella lex specialis di gara, come già ritenuto, sia pure incidenter tantum a da questa sezione, in riferimento ad una fattispecie soggetto alla disciplina del codice previgente (Cons. Stato, sez. V, 9 giungo 2023 n. 5665)”.

Il Collegio, a supporto della tesi, richiama quindi una precedente pronuncia, ove testualmente si legge che “l’art. 41 comma 14 del d.lgs. 36/2023 (…), significativamente, opera una netta “inversione di rotta” rispetto al d.lgs. 50/2016“.

Il Collegio, rinnegando implicitamente la netta inversione di rotta, ravvisa un’antitetica “piena continuità del codice del 2023 rispetto a quello del 2016“.

Il Collegio quindi, in (apparente?) adesione alla tesi del T.A.R. toscano (cfr. questo articolo), ha ritenuto che “Sulla base del combinato disposto degli artt. 41, comma 14, 108, comma 9, e 110, comma 1, del d.lgs. n. 36 del 2023, deve pertanto ritenersi che, per l’operatore economico che applichi il ribasso anche ai costi della manodopera, la conseguenza non è l’esclusione dalla gara, ma l’assoggettamento della sua offerta alla verifica dell’anomalia” che, secondo il Collegio in tali casi “si presume iuris tantum“. E’ quindi in sede di anomalia che “l’operatore economico avrà l’onere di dimostrare che il ribasso deriva da una più efficiente organizzazione aziendale, oltre il rispetto dei minimi salariali (T.a.r. per la Toscana, sez. IV, 29 gennaio 2024, n. 120 che ha ritenuto che tale interpretazione del dettato normativo consente un adeguato bilanciamento tra la tutela rafforzata della manodopera – che costituisce la ratio della previsione dello scorporo dei costi della manodopera, evincibile dal criterio contenuto nella lett. t) dell’art. 1, primo comma, della legge delega (l. n. 78 del 2022) – con la libertà di iniziativa economica e d’impresa, costituzionalmente garantita, la quale, nel suo concreto dispiegarsi, non può che comportare la facoltà dell’operatore economico di dimostrare che la più efficiente organizzazione aziendale impatta sui costi della manodopera, diminuendone l’importo rispetto a quello stimato dalla stazione appaltante negli atti di gara)”.

In buona sostanza viene espressamente richiamata la legge delega, secondo la quale il decreto delegato avrebbe dovuto prevedere “in ogni caso” che “i costi della manodopera e della sicurezza” fossero “sempre scorporati dagli importi assoggettati a ribasso“, ma viene sposata la tesi che conduce alla sostanziale abrogazione della prescrizione dell’art. 41, comma 14, e quindi in ultima istanza a disattendere del tutto la stessa legge delega.

Il Collegio si giustifica sostenendo che “Solo seguendo tale impostazione si spiega anche l’obbligo del concorrente di indicare i propri costi della manodopera, a pena di esclusione dalla gara (art. 108, comma 9 del d.lgs. n. 36 del 2023), previsione che sarebbe evidentemente superflua se i costi della manodopera non fossero ribassabili, e il successivo art. 110, primo comma, che include i costi della manodopera dichiarati dal concorrente tra gli elementi specifici, in presenza dei quali la stazione appaltante avvia il procedimento di verifica dell’anomalia“.

Anche qui, nel merito, il Supremo consesso non si confronta “di petto” con la tesi del ribasso indiretto, invero ripresa in modo più raffinato dal T.A.R. Liguria (cfr. questo articolo) e dal T.A.R. Milano (cfr. questo articolo), che evidenzia come vi sia un altro e maggiormente coerente modo per spiegare l’obbligo di indicare i propri costi della manodopera, i quali, lo si ribadisce, anche per l’opposto orientamento sono ribassabili. Sul punto si tornerà subito, perché è qui che s’annida l’ambiguità della pronuncia, non prima però di evidenziare che dette pronunce di primo grado non erano ancora state rese all’epoca di celebrazione dell’udienza pubblica.

Il Collegio infine sposa l’assunto secondo cui “la non “ribassabilità” dei costi della manodopera, normativamente prevista, non impone implicitamente anche lo scorporo di questi ultimi dalla base d’asta (T.a.r. per la Sicilia, sez. III, 19 dicembre 2023, n. n. 3787)“.

L’assunto è corretto nella sola misura in cui afferma che lo scorporo non è imposto implicitamente.

Lo scorporo è infatti previsto esplicitamente: “I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso“.

Non serve interpellare l’Accademia della Crusca, che pure ha contribuito alla stesura del Codice, per avvedersi dell’insostenibilità sotto il profilo linguistico, prima ancora di quello logico, dell’interpretazione secondo cui l’obbligo di “scorporare dall’importo assoggettato a ribasso” i costi della manodopera non imporrebbe “lo scorporo di questi ultimi dalla base d’asta”.

Solo il conte Mascetti potrebbe dissentire, ed individuare una distinzione semantica tra “importo assoggettato a ribasso” e “base d’asta”…

Tutto chiaro. Il Consiglio di Stato ha aderito alla tesi ANAC. Perché allora il titolo dell’articolo manifesta un dubbio sul punto?

Perché nonostante la chiara presa di posizione della sentenza nella parte nella parte in cui ha ricostruito “il sistema”, che pareva non lasciare dubbio alcuno rispetto alla piena adesione all’orientamento del T.A.R. Toscana (e quindi dell’ANAC), nella trattazione del merito della specifica vicenda Il Collegio pare al contempo aderire anche all’opposto orientamento!

Secondo il Collegio, siccome il disciplinare di gara richiamava l’art. 41 comma 14 del d.lgs., n. 36 del 2023 nella sua interezza (i.e. la celeberrima efficienza aziendale), non poteva essere “escluso che gli operatori economici potessero indicare un importo della manodopera in ribasso rispetto a quello individuato dalla stazione appaltante, ma detto ribasso doveva evincersi dal modello C dell’offerta economica, nella parte relativa all’esplicita indicazione del costo della manodopera, che doveva essere compilata separatamente, come del pari doveva essere compilata separatamente la casella relativa agli oneri della sicurezza aziendale (caselle queste che richiamavano al riguardo le previsioni codicistiche), essendo per contro l’importo ribassabile, cui applicare il ribasso unico offerto, rimesso alla stazione appaltante, come già ritenuto da questa sezione in sede di appello cautelare“.

In buona sostanza detto capo della sentenza fa esattamente riferimento alla tesi del ribasso indiretto di cui alle poc’anzi richiamate pronunce del T.A.R. Liguria e Lombardia, che epperò sono del tutto antitetiche rispetto al parere ANAC ed alla pronuncia del T.A.R. toscana richiamati nella pronuncia.

Del resto, nulla ostava, nemmeno l’assenza di impugnazione dei pertinenti articoli del disciplinare con ricorso incidentale, a che l’art. 41 comma 14 del Codice, in quanto richiamato nella sua interezza, fosse interpretato nel senso di una piena legittimazione ad un ribasso (anche) diretto dei costi della manodopera, che il Consiglio di Stato non si stente di (ri)affermare, affermando viceversa un necessario ribasso indiretto.

Il Collegio pare poi equiordinare  costi per la manodopera e costi per la sicurezza, equiordinazione ripudiata dall’opposto orientamento (cfr. T.A.R. Lazio, I, 06 agosto 2024, n. 15720, secondo cui “solo questi ultimi sono integralmente predeterminati dall’amministrazione aggiudicatrice in maniera fissa ed immodificabile).

Ed infatti secondo il Collegio “Indefettibile corollario delle previsioni della lex specialis di gara, come del resto ritenuto dal primo giudice, era che l’importo ribassabile (ovvero l’importo a cui andava applicato il ribasso percentuale offerto dalle imprese concorrenti) era pari alla somma del costo dei lavori e dei costi per la progettazione esecutiva, al netto dei costi della manodopera e degli oneri della sicurezza“.

Il Collegio ha per l’effetto ritenuto corretta la decisione della stazione appaltante di aggiudicare “l’appalto de quo non applicando il ribasso al costo della manodopera, in perfetta sintonia con la voluntas negoziale desumibile dal modello C”.

Nessuno dubita che i costi per la manodopera siano soggetti a ribasso.

Il dubbio che permane è se il ribasso possa essere diretto o se debba viceversa essere indiretto. Il che, soprattutto negli appalti ad altissima intensità di manodopera, può far giocare due partite completamente diverse.

E nessuno pare averlo davvero capito…

Un’altra occasione persa per chiudere definitivamente il walzer dei ribassabili costi non assoggettati a ribasso.

 

 

 

 

 

 

Scritto da Elvis Cavalleri

Senior partner della società TrasP.A.re, specializzata in contratti pubblici; laureato in giurisprudenza, in scienze e gestione dei servizi (scienze della pubblica amministrazione) ed in scienze del servizio sociale; esperienza decennale in qualità di dipendente di pubbliche amministrazioni nella gestione di gare d'appalto; curatore scientifico del portale giurisprudenzappalti.it