in

Revoca credito d’imposta e irregolarità fiscale

Consiglio di Stato, sez. III, 02 aprile 2019, n. 2183

La revoca di un credito d’imposta determina automaticamente l’irregolarità fiscale dell’offerente?

Ecco l’interessante pronuncia Consiglio di Stato, sez. III, 02 aprile 2019, n. 2183, che riforma la sentenza del giudice di prime cure.

“il Collegio ritiene che la fattispecie qui in rilievo – vale a dire la revoca del credito di imposta per € 159.900,00 – non possa essere sussunta nella previsione normativa soprarichiamata (art. 80 n.d.r.) sì da rendere predicabile l’esclusione  dalla procedura di gara in argomento”.

Sotto questo profilo “può anche essere condivisa l’opzione ermeneutica incline a ricondurre gli atti (comunque denominati) con cui si accerti, da parte dell’amministrazione tributaria, la non spettanza di una data agevolazione, nella categoria giuridica degli “avvisi di accertamento” (cfr. testualmente Cass. n. 18636 del 2016), dovendo, però, al contempo rilevarsi che tali particolari atti, ove esauriscano il proprio contenuto ricostruttivo nella sola negazione del credito dichiarato dal contribuente, tradiscono una dimensione giuridica non autosufficiente ai fini qui in rilievo in quanto necessitano, per potere esprimere appieno una compiuta pretesa impositiva, di ulteriori passaggi valutativi che, nel modello legale di riferimento, vengono affidati ad ulteriori e successivi provvedimenti secondo lo schema della fattispecie a formazione progressiva.

In altri termini, l’effetto di accertamento che si riconnette alla revoca del credito di imposta non può dirsi completo in quanto non è ancora espressione di una pretesa tributaria compiutamente e definitivamente stabilita, occorrendo in vista del relativo recupero accertare l’entità del dovuto in ragione anche delle modalità e dei tempi di concreto utilizzo del credito.

Manca, in definitiva, una pretesa tributaria “compiutamente” e definitivamente stabilita (importo da recuperare, interessi e sanzioni) e, come tale, divenuta esigibile; e prova ne è che il pagamento spontaneamente effettuato dal ricorrente è stato considerato dall’Agenzia delle Entrate come effettuato “sine titulo ….in assenza dell’atto di recupero consequenziale al provvedimento di revoca” (cfr. nota Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Avellino del 7.1.2019).

Quanto fin qui evidenziato impedisce, in apice, di configurare una violazione grave e definitivamente accertata ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 80 comma IV del d. lgs 50/2016: ed, invero, per concretare la detta fattispecie occorre, anzitutto, che sia partecipata al contribuente una pretesa creditoria di natura tributaria recante un credito certo e definito nel suo ammontare ed il conseguente inadempimento del contribuente. Secondo l’orientamento espresso da questo Consiglio di Stato (CdS n. 59 del 2018 e n. 856 del 2018) “costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle relative all’obbligo di pagamento di debiti per imposte e tasse certi, scaduti ed esigibili”.

E’, in definitiva, di tutta evidenza, alla stregua di una lettura sistemica delle disposizioni compendiate nel comma IV dell’articolo 80, che, per potere operare la clausola espulsiva connessa ad infrazioni di natura tributaria, è necessario, da un lato, che il relativo credito sia già definito quanto a sorta principale ed “eventuali interessi o multe” e che, ciò nondimeno, la parte sia, comunque, rimasta colpevolmente inadempiente.

Le divisate condizioni operative qui non ricorrono per le ragioni sopra evidenziate di talchè l’appello va accolto con conseguente riforma della decisione impugnata”.

Scritto da Elvis Cavalleri

Senior partner della società TrasP.A.re, specializzata in contratti pubblici; laureato in giurisprudenza, in scienze e gestione dei servizi (scienze della pubblica amministrazione) ed in scienze del servizio sociale; esperienza decennale in qualità di dipendente di pubbliche amministrazioni nella gestione di gare d'appalto; curatore scientifico del portale giurisprudenzappalti.it