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Per il Consiglio di Stato la nozione di equo compenso deve essere riformulata in termini di equo ribasso.

Cons. Stato, III, 27 gennaio 2025, n. 594

Legge sull’equo compenso: il contrasto giurisprudenziale

Come noto, in punto di applicazione nel settore della contrattualistica pubblica della legge sull’equo compenso si fronteggiavano due filoni interpretativi.

Secondo un primo orientamento, inaugurato proprio dalla sentenza oggi riformata (cfr. questo articolo), in ragione dell’imperatività della norma sull’equo compenso (che integra la legge di gara sul punto silente), ritiene impossibile ridurre il compenso, ritenendo residualmente possibile ridurre la voce “spese ed oneri accessori” (in termini cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. V ter, 30 aprile 2024, n. 8580 e TRGA – Sezione Bolzano, 9 ottobre 2024, n. 230 e n. 231).

Per un secondo orientamento, viceversa La specialità del sistema dei contratti pubblici impedisce di cristallizzare i compensi professionali tramite eterointegrazione automatica delle disposizioni della l. n. 49/2023. Secondo tale tesi sarebbe praticabile il ribasso sui corrispettivi professionali, in quanto la loro congruità rimarrebbe, in ogni caso, adeguatamente assicurata dal modulo procedimentale di verifica dell’anomalia dell’offerta TAR Campania, Salerno, sez. II, 16 luglio 2024, n. 1494 e del TAR Calabria, Reggio Calabria, 25 luglio 2024, n. 483).

La decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato (III, 27 gennaio 2025, n. 594), sebbene con significativi affinamenti motivazionali, aderisce al secondo orientamento.

Rinviando alla lettura integrale della pronuncia si tratteggiano qui i punti salienti.

In primo luogo il Collegio ritiene che codice appalti e legge sull’equo compenso non siano affatto antinomiche, ma che detti plessi normativi devono essere interpretati e applicati in modo integrato e coordinato valorizzando le rispettive rationes legis:

  • l’una proconcorrenziale per la disciplina sui contratti pubblici,
  • l’altra di favor del professionista intellettuale, per la disciplina sull’equo compenso.

In secondo luogo il Collegio analizza i due meccanismi divisati dal d.m. n. 140/2012 e dal D.I. 17 giugno 2016, concludendo nel senso che questi, “pur recando un nucleo comune (la formula moltiplicatoria per il compenso) differiscono quanto a natura della fonte normativa (si tratta di due regolamenti ministeriali ben distinti, l’uno ministeriale, l’altro interministeriale), scopi (l’uno mira a disciplinare la liquidazione dei compensi equi, l’altro punta alla determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara) e struttura (l’una si contraddistingue per un range di flessibilità, mentre l’altro definisce un importo fisso) legittimando una ricostruzione dicotomica nel senso che la prima fonte individua il minimum corrispettivo inderogabile (il compenso equo ribassabile sino al 60%), mentre la seconda individua il corrispettivo equo da porre a base di gara“.

Questa la conclusione del Collegio:

“ne riviene che la nozione di equo compenso applicabile alla contrattualistica pubblica deve essere riformulata più perspicuamente in termini di equo ribasso, nozione frutto dell’esegesi coordinata tra corrispettivo equo e proporzionato posto a base di gara e minimum inderogabile evincibile dal range di flessibilità del compenso liquidabile in ragione della complessità della prestazione dedotta nell’affidamento”.

La critica all’opposta tesi

Il Collegio non si esime infine dal criticare la contrapposta tesi del valore fisso e inderogabile dell’equo compenso per i professionisti negli appalti per i servizi di architettura e ingegneria:

  • i. anche nell’ordito del nuovo codice dei contratti pubblici il richiamo operato dall’art. 8 d.lgs. 36/2023 evoca solo il “principio” dell’equo compenso, non postulando dunque una individuazione univoca e rigida, tanto da ammettere, sia pur eccezionalmente, ipotesi derogatorie di prestazioni pro bono;
  • ii. l’innesto rigido ope legis di un valore univoco e predeterminabile di equo compenso – all’infuori di deliberate opzioni discrezionali della lex specialis volte a circoscrivere la concorrenza su altri aspetti ex art. 108, co. 5 d.lgs. 36/2023 – mortificherebbe la ratio proconcorrenziale che permea la contrattualistica pubblica, relegando il confronto competitivo ad uno spazio sostanzialmente virtuale sulle voci per spese e oneri accessori (che, nel caso di specie, ammontano solo al 14% del valore di ciascun lotto in gara);
  • iii. tale rigidità colliderebbe con i canoni di necessità e proporzionalità dettati dalla Direttiva 2006/123/CE (art. 15) per la sottoposizione dell’esercizio di un’attività o servizio a requisiti limitativi tra cui, per l’appunto, “tariffe obbligatorie minime e/o massime che il prestatore deve rispettare”. Tale esegesi si concilia con gli arresti recenti del giudice europeo, tra cui CGUE, 4 luglio 2019, causa C-377/2017, in materia di compensi professionali, per cui l’indicazione delle tariffe minime e massime è vietata in quanto incompatibile con il diritto dell’Unione Europea, ma sono comunque ammesse deroghe per motivi di interesse pubblico, come la tutela dei consumatori, la qualità dei servizi e la trasparenza dei prezzi (posizione confermata dalla successiva sentenza del 25 gennaio 2024, causa C-438/2022 secondo cui le tariffe minime relative al compenso professionale degli avvocati devono essere disapplicate in quanto contrastanti con il principio di concorrenza).

Ulteriori considerazioni conclusive

Sotto correlato profilo, dopo aver postulato la locuzione di sintesi nel senso dell’equa ribassabilità del compenso dei professionisti nell’ambito degli affidamenti dei servizi di architettura e ingegneria, il Collegio rileva, per incidens, “che non può configurarsi un contrasto tra la lex specialis e la disciplina imperativa tale da far luogo al meccanismo di eterointegrazione contrattuale ex art. 1376 e 1339 cod. civ. sposato in tesi dal primo giudice (cfr. in termini, anche il parere ANAC reso in sede precontenziosa con la delibera n. 101 del 28 febbraio 2024)“.

Infine, il Collegio, in stretta aderenza al secondo orientamento,  ha ritenuto “che la sede naturale della verifica dell’equo ribasso operato dagli offerenti rispetto agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati col d.m. n. 140/2012, unitamente alla verifica di sostenibilità giuridico-economica di tale ribasso va individuata in modo strutturale nel modulo subprocedimentale di verifica dell’anomalia dell’offerta“.

Acqua passata, in ragione del sopravvenuto correttivo, che pure è stato richiamato nella pronuncia, siccome orientato nel senso prospettato dall’esegesi sviluppata dal Collegio.

Scritto da Elvis Cavalleri

Senior partner della società TrasP.A.re, specializzata in contratti pubblici; laureato in giurisprudenza, in scienze e gestione dei servizi (scienze della pubblica amministrazione) ed in scienze del servizio sociale; esperienza decennale in qualità di dipendente di pubbliche amministrazioni nella gestione di gare d'appalto; curatore scientifico del portale giurisprudenzappalti.it