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Parrocchie e codice dei contratti

Tar Campania, Salerno, sez. I, 18 marzo 2019, n. 409

Parrocchie e codice dei contratti: devono seguirlo nell’affidamento di lavori?

Nell’ambito di una procedura di gara avente ad oggetto l’esecuzione dei lavori di restauro conservativo e di miglioramento sismico del campanile della sacrestia della Chiesa parrocchiale la ricorrente insorge avverso il provvedimento di aggiudicazione lamentando diverse violazioni della “lex specialis”.

La diocesi eccepisce il difetto di giurisdizione dell’adito Giudice amministrativo.

Quid iuris?

Tar Campania, Salerno, sez. I, 18 marzo 2019, n. 409 richiama la sentenza n. 6771/2009 che ha escluso che le procedure di affidamento di appalti di lavori gestite dalle parrocchie rientrino nell’alveo della giurisdizione amministrativa esclusiva ex art. 6 L. 205/2000 (ora art. 133 c.p.a.) in quanto si tratta di enti non obbligati – nella scelta del contraente – al rispetto della normativa comunitaria o dei procedimenti evidenziali previsti dalla normativa statale o regionale, in quanto la parrocchia non riveste il ruolo di “organismo di diritto pubblico”.

Come noto l’organismo di diritto pubblico è condensato dalla giurisprudenza comunitaria nella compresenza dei seguenti requisiti: a) possesso di personalità giuridica; b) finalizzazione dell’organismo al soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale; c) sussistenza di un collegamento diretto con lo Stato, con enti pubblici territoriali o con altri organismi di diritto pubblico, sul piano del finanziamento, della gestione o del controllo.

Ciò posto il Collegio ritiene che l’eccezione di difetto di giurisdizione risulti fondata.

In particolare vanno evidenziati i seguenti dati normativi:

1) l’art. 3, co. 1, lett. d), del dlgs 50/2016 impone all’organismo di diritto pubblico il rispetto della normativa ad evidenza pubblica, e lo definisce nel seguente modo: ” qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo e’ contenuto nell’allegato IV: 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalita’ giuridica; 3) la cui attivita’ sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali piu’ della meta’ e’ designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”;

2) ai sensi dell’art. 13 della L. 222/1985 (recante Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi) “La Conferenza episcopale italiana acquista la personalità giuridica civile, quale ente ecclesiastico, con l’entrata in vigore delle presenti norme.”;

3) ai sensi dell’art. 4 della citata L. 222/1985 “Gli enti ecclesiastici che hanno la personalità giuridica nell’ordinamento dello Stato assumono la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.”.

In base alle richiamate disposizioni di legge, si può concludere che sia le parrocchie, sia la Conferenza Episcopale Italiana, sono enti ecclesiastici riconosciuti, con personalità giuridica di diritto privato. Si può anche aggiungere che tali enti perseguono scopi particolari – di religione, di culto, di solidarietà sociale, etc. – che non rientrano tuttavia nei fini generali rivolti al “soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale“, costituenti uno dei tratti distintivi degli organismi di diritto pubblico secondo la giurisprudenza comunitaria poi tradotta in norma di diritto interno.

Infine, e questo è forse l’aspetto più rilevante ai fini qui in esame, i predetti enti non risultano collegati con lo Stato italiano o con altri enti pubblici da quegli stretti vincoli indicati dalla legge, che ne condizionano la gestione, la struttura organizzativa e/o l’autonomia finanziaria. Tanto basta per negare alla parrocchia resistente lo status di organismo di diritto pubblico, e per escludere anche che tale qualità possa derivare dall’eventuale collegamento strutturale/funzionale/economico con la C.E.I.

Fermo restando quanto fin qui rassegnato, occorre adesso muovere un ulteriore passo ricostruttivo del sistema, per verificare se l’ente oggi resistente non possa, per altri versi (diversi dall’asserita appartenenza al novero degli organismi di diritto pubblico) essere obbligatoriamente assoggettato comunque al rispetto della normativa in tema di appalti pubblici ed all’applicazione delle regole sull’evidenza pubblica.

Non costituiscono ostacolo alla conclusione appena raggiunta le sentenze Cons. Stato, VI, 2681/2000, e Cons. Stato, V, 5894/2000, laddove riconoscono la sussistenza della giurisdizione amministrativa in relazione ad un appalto di lavori indetto da un ente ecclesiastico e finanziato dallo Stato in misura superiore al 50% (si trattava di opere relative al Giubileo del 2000). In quella circostanza il Consiglio di Stato ha, infatti, affermato che l’obbligo di rispetto della normativa in tema di appalti pubblici gravava sull’ente – non in quanto ente ecclesiastico, ma ai sensi dell’art. 2, co. 2, lett. c, della L. 109/94 – quale soggetto privato che realizza opere di interesse pubblico fruendo di finanziamento pubblico per un importo superiore al 50% del totale dei lavori. Come si vede, si tratta di condizioni che non ricorrono nel caso in esame.

Invero, la diocesi, depositando il decreto diocesano del 27.9.2017, ha dimostrato il finanziamento dei lavori oggetto di appalto con fondi rientranti, ai sensi dell’art. 47 della legge 22271985, nei trasferimenti statali rimessi alla libera disponibilità dell’ente religioso.

Giunti alla conclusione che la questione oggi in esame sfugge al novero delle ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.A., si deve anche affermare ulteriormente che non rientra nemmeno nell’ambito della semplice giurisdizione amministrativa di legittimità. Come è noto, tale giurisdizione viene esercitata dal Giudice amministrativo in presenza di posizioni soggettive del privato aventi natura di interesse legittimo, come si ricava dall’originario criterio di riparto tra le giurisdizioni risalente all’antico art. 2 della L. 2248, all. E, del 20.03.1865. Tuttavia, rileva il Collegio come non sia sufficiente l’esistenza di una posizione di interesse legittimo per radicare la giurisdizione del G.A., data l’esistenza di molteplici posizioni di tale natura che sono invece assoggettate al sindacato del Giudice ordinario: si pensi, ad esempio, alla materia dei rapporti di lavoro con le PP.AA. ora privatizzati ed affidati alla cognizione del G.O.; o alle posizioni di interesse legittimo che si riscontrano nel settore societario, o più in generale, degli enti privati, con riguardo a talune procedure sanzionatorie, selettive, etc..

Se ne può dedurre la necessità di un ulteriore tassello che, sommato alla posizione di interesse legittimo vantata dal privato, fa sorgere la giurisdizione amministrativa di legittimità: l’esistenza di un atto che formalmente (per provenienza da una PA), o anche solo sostanzialmente (per il suo contenuto) sia qualificabile come atto amministrativo.

Tali circostanze non ricorrono nel caso oggi in esame. Infatti, sul piano soggettivo, la procedura in contestazione è stata indetta da un soggetto (la parrocchia) che è riconosciuta ex lege come persona giuridica di diritto privato; dunque l’atto impugnato non è riconducibile soggettivamente ad una PA. Sotto altro profilo, l’attività in questione non è espressione dell’esercizio di pubblici poteri e/o di pubbliche funzioni, trattandosi di selezione svolta da un ente privato allo scopo di individuare il contraente per la realizzazione di un interesse privato. Essa soddisfa, quindi, un interesse che rimane interno all’ordinamento cui quell’ente appartiene (l’ordinamento ecclesiastico) e non trasmoda fino ad inferire sugli interessi dello Stato o di suoi enti pubblici.

In sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione in capo all’A.G. adita, sussistendo la giurisdizione del G.O”.

Scritto da Elvis Cavalleri

Senior partner della società TrasP.A.re, specializzata in contratti pubblici; laureato in giurisprudenza, in scienze e gestione dei servizi (scienze della pubblica amministrazione) ed in scienze del servizio sociale; esperienza decennale in qualità di dipendente di pubbliche amministrazioni nella gestione di gare d'appalto; curatore scientifico del portale giurisprudenzappalti.it