in

Ordinanza per la riconsegna del cantiere: la giurisdizione è del giudice ordinario!

Tar Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 17/03/2025, n. 267

Il Comune ha disposto la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 108, d. lgs. n. 50 del 2016, lamentando ‹‹gravi inadempimenti alle obbligazioni contrattuali da parte dell’Appaltatore ..››.

Il Comune ha, quindi, ordinato al Consorzio ricorrente la riconsegna del cantiere libero da persone, materiali, attrezzature e qualsiasi altra cosa ivi presente al fine di consentirne il pieno utilizzo da parte del Comune, avvertendo che ‹‹l’Amministrazione comunale procederà all’esecuzione forzata della presente ordinanza di restituzione coattiva dell’area con l’ausilio della Forza Pubblica›› e che ‹‹le operazioni di sgombero e di inventario avverranno anche nel caso di assenza dell’intimato nel giorno stabilito per la riconsegna del cantiere››.

A tale atto è seguita la presa di possesso, tramite la polizia municipale, da parte del Comune, dell’area di cantiere.

Avverso l’ordinanza il Consorzio ricorrente ha proposto impugnazione, chiedendone l’annullamento per il seguente articolato motivo, in sintesi: 1. il richiamo dell’art. 823 c.c. sarebbe errato perché, venendo in rilievo un bene del patrimonio disponibile, il provvedimento in contestazione sarebbe stato adottato dal Comune in carenza di potere in astratto, con conseguente nullità dello stesso; il Comune non avrebbe dato conto della sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento ex art. 823, comma 2, c.c.; non sarebbe corretto il riferimento all’art. 108, d.lgs. n. 50 del 2016; quale ordinanza contingibile e urgente, poi, l’ordinanza sarebbe viziata da difetto di istruttoria richiamando nelle premesse gli atti relativi al contratto d’appalto ed essendo stato fatto solo generico riferimento al potenziale pericolo di perdita del finanziamento; l’ordinanza sarebbe inoltre carente di motivazione.

Tar Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 17/03/2025, n. 267 dichiara il difetto di giurisdizione e la giurisdizione del Giudice ordinario:

Sotto il primo profilo, l’ordinanza comunale contestata è direttamente e strettamente conseguenziale alla dichiarazione di risoluzione del contratto di appalto stipulato dal Comune e dal Consorzio ricorrente.

Quindi, l’atto impugnato si iscrive nell’ambito della fase esecutiva del contratto pubblico sopra indicato, sotto il profilo eziologico rappresentando l’effetto o comunque, lo sviluppo, dell’atto di risoluzione unilaterale adottato dall’Ente comunale.

Vale, pertanto, rammentare il principio, condiviso, secondo il quale, in relazione al riparto di giurisdizione in materia di contratti pubblici, con particolare riguardo al contratto di appalto, il relativo discrimine è correlato alla fase nella quale si colloca la controversia, a seconda, quindi, che quest’ultima attenga alla fase selettiva e deliberativa dell’aggiudicazione oppure a quella di esecuzione del rapporto.

In tal senso, quindi, ‹‹in materia di procedimenti di evidenza pubblica, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo riguarda le controversie relative alla fase procedimentale, che va dall’inizio della procedura sino alla stipula del contratto d’appalto (cfr. Cass., SS.UU., 9 aprile 2018, n. 8721; 10 aprile 2017, n. 9149; 8 luglio 2015, n. 14188; 13 marzo 2009, n. 6068; cfr. Cons. Stato, V, 19 luglio 2018, n. 4394; contra, isolata, Cass., SS.UU., 5 ottobre 2018, n. 24411, per la quale la fase procedimentale si conclude con l’adozione dell’atto di aggiudicazione definitiva), e si estende ad ogni provvedimento, atto, accordo e comportamento che intervenga in quel lasso temporale, ivi compresi i provvedimenti di annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva ai sensi dell’art. 21-quinquies l. 7 agosto 1990, n. 241 o comunque previsti da norme di legge, mentre sussiste la giurisdizione ordinaria per le controversie insorte nella fase di esecuzione del contratto, salvo, comunque, il caso di esercizio di poteri di autotutela di annullamento ovvero di revoca dell’aggiudicazione pregressa, sussistendo nel primo caso la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e nel secondo la sua giurisdizione di legittimità (cfr. Cass., SS.UU., 29 gennaio 2018, n. 2144; 16 gennaio 2018, n. 895; 18 novembre 2016, n. 23468)›› (Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2019, n. 2543).

La Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare, in ordine, in particolare, alla risoluzione del contratto, che ‹‹la controversia relativa alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’aggiudicatario, afferendo esclusivamente alla fase esecutiva del rapporto, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario”; ciò sul presupposto che “intervenuta la stipulazione del contratto, la pubblica amministrazione non può più spendere pertanto alcun potere d’imperio, neppure in via di autotutela (ex multis Cass., SS. UU., 22554/14, 12901/13, 19046/10, 26792/08)”, ed inoltre che “il petitum sostanziale di tale controversia – che è quello al quale occorre aver riguardo ai fini del riparto di giurisdizione – appare infatti chiaramente incentrato sulla fase dell’esecuzione dell’appalto e non incide sull’esercizio dei poteri discrezional-valutativi della Pubblica Amministrazione nella determinazione dell’aggiudicatario›› (Cass. civ., sez. un., 31 ottobre 2022, n. 32148)

Con riguardo all’istituto della risoluzione nell’ambito dei contratti pubblici, il Collegio ben conosce il controverso tema della natura delle diverse “tipologie di risoluzione” previste dall’art. 108, d.lgs. n. 50 del 2016, ma il problema qualificatorio, nel caso di specie, non si pone, perché la dichiarazione di risoluzione adottata dal Comune si iscrive, pacificamente, nell’ambito della fattispecie di cui al comma 3, della predetta disposizione ai sensi del quale ‹‹il direttore dei lavori o il responsabile dell’esecuzione del contratto, se nominato, quando accerta un grave inadempimento alle obbligazioni contrattuali da parte dell’appaltatore, tale da comprometterne la buona riuscita delle prestazioni, invia al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei lavori eseguiti regolarmente, il cui importo può essere riconosciuto all’appaltatore. Egli formula, altresì, la contestazione degli addebiti all’appaltatore, assegnando un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle proprie controdeduzioni al responsabile del procedimento. Acquisite e valutate negativamente le predette controdeduzioni, ovvero scaduto il termine senza che l’appaltatore abbia risposto, la stazione appaltante su proposta del responsabile del procedimento dichiara risolto il contratto››.

Come correttamente ricordato dal Consorzio ricorrente, la risoluzione dichiarata ex art. 108, comma 3, d.lgs. 50/2016 rientra nei casi di “risoluzione di natura privatistica” ammessi dal codice dei contratti pubblici, oltre a quelli disciplinati in via generale dal codice civile, in particolare per gravi inadempimenti da parte dell’appaltatore, tali da compromettere la buona riuscita delle prestazioni, accertati dal direttore dei lavori o dal responsabile dell’esecuzione del contratto.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, infatti, ha rammentato che ‹‹vi sono poi specifiche ipotesi di risoluzione di natura privatistica ammesse dal codice dei contratti pubblici, oltre a quelle previste in via generale dal codice civile, per gravi inadempimenti da parte dell’appaltatore, tali da compromettere la buona riuscita delle prestazioni, accertate dal direttore dei lavori o dal responsabile dell’esecuzione del contratto, se nominato (art. 108, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016) o comunque, anche al di fuori delle ipotesi di grave inadempimento, ipotesi di ritardi per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del contratto (art. 108, comma 4, del d. lgs. n. 50 del 2016)›› (Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10).

Il Consiglio di Stato, quindi, ha ricordato che ‹‹le controversie che hanno ad oggetto il provvedimento di risoluzione anticipata del contratto adottato per grave inadempimento (grave irregolarità e grave ritardo) ex art. 163, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (ora art. 108, comma 3, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) sono devolute alla cognizione del giudice ordinario perché attinenti alla fase esecutiva e per la ragione che l’atto risolutivo va qualificato come una forma di autotutela contrattuale riconosciuta alla pubblica amministrazione che incide sul diritto soggettivo del contraente privato (cfr. Cass. SS.UU., 10 gennaio 2019, n. 489; 14 maggio 2015, n. 9861; 18 ottobre 2005; n. 20116; 5 aprile 2005, n. 6992; 23 dicembre 2003, n. 19787)›› (Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2019, n. 2543).

Appurato, quindi, che il rapporto nel quale si inscrive l’atto in questa sede contestato attiene alla giurisdizione del Giudice ordinario, per comprendere se possa o meno residuare un profilo di pertinenza del Giudice amministrativo occorre verificare se, in concreto, l’ordinanza in contestazione costituisca manifestazione di esercizio di potere autoritativo, oppure sia anch’essa da ascrivere all’attività paritetica del Comune, posta in essere quale contraente privato, parte del contratto di appalto controverso.

A tal proposito, la qualificazione dell’atto non può essere rimessa alla mera autovalutazione dell’Ente che lo adotta, il Giudice potendo e dovendo procedere alla relativa qualificazione, al fine di correttamente sussumere la fattispecie concreta nell’ambito della pertinente fattispecie astratta.

Esaminando, quindi, il contenuto dell’ordinanza impugnata emerge chiaramente che:

– ciò che espressamente il Comune richiede al Consorzio è la restituzione dell’area di cantiere;

– la riconsegna è richiesta quale conseguenza della ricordata risoluzione dichiarata ai sensi dell’art. 108, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016, ed è giustificata in considerazione di quanto previsto dall’ultimo comma dello stesso art. 108, che viene richiamato espressamente.

La fattispecie, quindi, si inscrive nell’ambito applicativo del comma 9 dell’art. 108, d.lgs. n. 50 del 2016 prevede che ‹‹nei casi di risoluzione del contratto di appalto dichiarata dalla stazione appaltante l’appaltatore deve provvedere al ripiegamento dei cantieri già allestiti e allo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze nel termine a tale fine assegnato dalla stessa stazione appaltante; in caso di mancato rispetto del termine assegnato, la stazione appaltante provvede d’ufficio addebitando all’appaltatore i relativi oneri e spese. La stazione appaltante, in alternativa all’esecuzione di eventuali provvedimenti giurisdizionali cautelari, possessori o d’urgenza comunque denominati che inibiscano o ritardino il ripiegamento dei cantieri o lo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze, può depositare cauzione in conto vincolato a favore dell’appaltatore o prestare fideiussione bancaria o polizza assicurativa con le modalità di cui all’articolo 93, pari all’uno per cento del valore del contratto. Resta fermo il diritto dell’appaltatore di agire per il risarcimento dei danni››.

La disposizione che precede prevede e disciplina compiutamente l’obbligo dell’appaltatore di restituzione dell’area di cantiere, non solo imponendo allo stesso di provvedere al ripiegamento dei cantieri già allestiti e allo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze nel termine a tale fine assegnato dalla stessa stazione appaltante, quale conseguenza della risoluzione del contratto di appalto, ma attribuisce espressamente il diritto alla stazione appaltante “in caso di mancato rispetto del termine assegnato” di provvedere “d’ufficio addebitando all’appaltatore i relativi oneri e spese”.

La disposizione, quindi, attribuisce alla stazione appaltante un diritto all’”autotutela privata”, in deroga alla disciplina generale di cui all’art. 2907, comma 1, c.c., secondo il quale alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte.

A conferma di ciò, e ad ulteriore maggiore tutela della stazione appaltante, la disposizione consente l’attuazione coattiva “diretta” del diritto di credito che precede anche nel caso di ‹‹eventuali provvedimenti giurisdizionali cautelari, possessori o d’urgenza comunque denominati che inibiscano o ritardino il ripiegamento dei cantieri o lo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze››, mediante il deposito di cauzione in conto vincolato a favore dell’appaltatore o la prestazione di fideiussione bancaria o polizza assicurativa con le modalità di cui all’articolo 93, pari all’uno per cento del valore del contratto.

All’appaltatore, quindi, non residua altro diritto se non quello di richiedere il risarcimento del danno.

Da quanto precede emerge con evidenza che la posizione fatta valere dal Comune resistente con l’ordinanza impugnata non è quella di proprietario di un bene appartenente al patrimonio indisponibile necessitante di tutela nei confronti di occupazioni illegittime, ma il diritto di credito alla restituzione dell’area di cantiere, ad esso spettante, in particolare, in forza della sopra ricordata previsione del comma 9 dell’art. 108, la quale, come detto, attribuisce all’Ente una particolare tutela “rafforzata” consentendogli di procedere all’attuazione coattiva del diritto alla restituzione, mediante, quindi, anche l’apprensione diretta dell’area di cantiere.

Del tutto ultroneo – e, comunque non sufficiente a mutare la qualificazione della pretesa vantata dal Comune e, quindi, la natura dell’atto impugnato – è quindi il riferimento, parimenti contenuto nell’ordinanza, all’art. 823 c.c. e alla natura asseritamente indisponibile del bene pubblico sul quale è collocata l’area di cantiere.

Infatti, l’atto posto in essere dal Comune di ………………, non rientra nell’ambito dell’attività di autotutela esecutiva “autoritativa”, ma va qualificato in termini di autotutela esecutiva di natura privatistica, autorizzata “ad hoc” dalla previsione di legge di cui al comma 9 dell’art. 108, d.lgs. n. 50 del 2016.

Ne consegue, quindi, che anche la presente controversia si inscrive nell’alveo della fase esecutiva “privatistica” del contratto di appalto pubblico, la posizione vantata dal Consorzio non avendo natura e consistenza di interesse legittimo, la situazione giuridica speculare vantata dal Comune essendo, come detto, qualificabile in termini di diritto di credito alla restituzione dell’area di cantiere, ancorché rafforzata dal ricordato diritto all’esecuzione coattiva “privata” del diritto medesimo.

Pertanto, deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione dell’intestato Tar e la giurisdizione del Giudice ordinario.

Scritto da Roberto Donati

Laureato in scienze politiche, appassionato di diritto con esperienza ventennale nella pubblica amministrazione in qualità di responsabilità del settore gare ed appalti, ed attuale responsabile del servizio Affari Generali della Siena Parcheggi Spa (società in house del Comune di Siena).