Il caso è interessante.
L’originaria aggiudicataria è stata esclusa da una gara per non aver indicato i costi della manodopera ai sensi dell’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016.
L’esclusione è avvenuta a seguito di apposita decisione in autotutela della stazione appaltante.
L’originaria aggiudicataria ha impugnato detta esclusione dinanzi al Tar Lombardia, sede di Milano, che con sentenza della sez. IV, n. 1855 del 27 luglio 2018, ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile il ricorso .
La Sentenza del Tar Lombardia viene appellata, ma senza successo.
Consiglio di Stato , Sez. III , 18 aprile 2019 , n. 2534, infatti, dichiara l’appello principale inammissibile.
Esamina infatti preliminarmente l’eccezione di inammissibilità dell’appello, sollevata dalla controinteressata, che evidenzia come l’appellante abbia impugnato in primo grado la propria esclusione dalla gara, ma non anche la successiva aggiudicazione della stessa all’operatore controinteressato.
E la accolgono.
I giudici ricordano in tal senso un principio consolidato in giurisprudenza.
Ossia il principio per cui il concorrente che abbia impugnato gli atti della procedura di gara precedenti l’aggiudicazione – normalmente il provvedimento che ne ha disposto esclusione – è tenuto ad impugnare anche il provvedimento di aggiudicazione sopravvenuto nel corso del giudizio (Cons. Stato, sez. V, 16 luglio 2018, n. 4304; V, 28 luglio 2015, n. 3708; V, 4 giugno 2015, n. 2759, V, 9 marzo 2015, n. 1185; V, 17 maggio 2012, n. 2826) a pena di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse.
Ciò in ragione del carattere inoppugnabile del provvedimento finale, attributivo dell’utilitas all’aggiudicatario (Cons. Stato, sez. VI, 17 maggio 2006 n. 2846).
Dunque, oltre all’onere di impugnazione immediata dell’esclusione – quale atto endoprocedimentale di carattere direttamente ed autonomamente lesivo – rimane altresì fermo l’onere del concorrente escluso di estendere il gravame anche al provvedimento conclusivo del procedimento avviato con l’indizione della gara, ovverosia l’atto di approvazione della graduatoria finale.
L’appellante afferma la non necessità dell’ulteriore gravame.
L’ aggiudicazione alla controinteressata si porrebbe infatti in rapporto di consequenzialità immediata, diretta e necessaria con la sua esclusione.
Per cui, con l’accoglimento dell’appello principale, e dunque dall’annullamento giurisdizionale del provvedimento di autotutela, deriverebbe l’effetto diretto della caducazione dell’aggiudicazione alla controinteressata.
La Terza Sezione del Consiglio di Stato afferma che le argomentazioni dell’appellante non sono condivisibili.
L’utilità finale che l’operatore economico intende conseguire attraverso il giudizio avverso gli atti della procedura di aggiudicazione è l’affidamento dell’appalto.
Passaggio necessario, a tal fine, è comunque l’eliminazione dell’aggiudicazione ad altro concorrente. Siccome, poi, tale eliminazione non consegue per caducazione automatica dall’annullamento di un atto prodromico in quanto i vizi di questo si riverberano sul provvedimento di aggiudicazione in via derivata, qualora il giudizio sia stato instaurato nei confronti di un atto della procedura che precede l’aggiudicazione, l’impugnazione di questa si rende necessaria per procurarsi l’utilità avuta di mira (Cons. St., sez. V, 4 febbraio 2019, n. 830; 16 luglio 2018, n. 4304).
Tale conclusione si estende anche al caso in esame in cui l’aggiudicazione della gara è stata disposta in conseguenza dell’esclusione dell’originaria aggiudicataria; anche in tale ipotesi, infatti, un’eventuale decisione di annullamento dell’esclusione non varrebbe a rimuovere anche l’aggiudicazione, che sarebbe affetta da un’invalidità ad effetto solo viziante e non caducante, e perciò non permetterebbe un reinserimento dell’escluso nella procedura, ormai esaurita ed inoppugnabile (Cons. St., sez. V, 28 luglio 2015, n. 3798).
L’appello principale viene dichiarato inammissibile.