Il Tar Puglia, nell’esprimersi sulla revoca di una procedura di project financing, evidenzia come occorra assoggettare questo istituto ad una lettura evidentemente restrittiva, essendone palese la sua oggettiva e strutturale dannosità per il pubblico erario, ove indiscriminatamente e largamente applicato, in particolare in assenza dell’impiego di risorse proprie da parte del soggetto investitore e/o promotore.
Questo quanto evidenziato da Tar Puglia, Bari, Sez. II, 28/02/2024, n. 237:
Ancora, il secondo ed il terzo motivo di gravame in via autonoma possono essere trattati e decisi congiuntamente e, posto che sostanzialmente riflettono il contenuto del primo motivo del ricorso principale, non possono essere oggetto di alcun accoglimento.
Ad abundantiam, appare opportuno svolgere alcune considerazioni generali sulla necessaria interpretazione di tipo restrittivo cui deve essere assoggettato l’istituto del project financing, nelle sue varie configurazioni normative, stante il suo potenziale contrasto con gli interessi finanziari delle collettività in cui esso venga estensivamente utilizzato.
Come è noto, nel modello generale dell’istituto del project financing un operatore privato, fattosi autonomamente avanti o specificamente individuato da un Ente pubblico, anticipa gli investimenti necessari alla realizzazione, allo sviluppo o alla gestione di un servizio pubblico e li recupera con gli interessi in un arco di tempo prestabilito, incamerando i flussi di cassa generati dalla gestione del servizio medesimo o canoni in vario modo strutturati, come nel caso di specie.
Esso, in generale, trovava la sua disciplina di base nel D.Lgs. n. 50/2016 Codice dei Contratti pubblici all’art. 183, sotto la rubrica “Finanza di progetto”; contenuti analoghi, se non identici, erano già inseriti all’art. 153 del D.Lgs. n. 163/2006.
I principali principi enucleati dalla giurisprudenza amministrativa in merito alla qualificazione giuridica della procedura del project financing possono rinvenirsi in Cons. Stato, Ad. Plen. 15 aprile 2010, n. 2155, a sua volta richiamata da Cons. Stato, Ad. Plen., 28 gennaio 2012, n. 1.
La più comune dottrina saluta da sempre l’istituto in esame come un’àncora di salvezza degli Enti pubblici che, per mancanza di denaro e perché in ogni caso bloccati nelle loro possibilità di spesa dal c.d. Patto di stabilità interno, hanno bisogno di realizzare investimenti di medio e lungo termine.
Resta, tuttavia, oggettivamente poco chiaro il motivo per cui se la redditività attesa di un servizio pubblico è tale da indurre un operatore privato ad investire, essa non dovrebbe a fortiori garantire la sostenibilità di un dato progetto ove il medesimo venga realizzato direttamente da un Ente pubblico, che su di esso, all’evidenza, non ha il problema di dover ottenere un lucro.
In altri termini, non appare facilmente comprensibile l’insieme delle ragioni in forza delle quali, in assenza di un capitale iniziale, il sistema creditizio conceda senza difficoltà credito all’operatore privato ritenendo l’attività finanziariamente sicura, non concedendolo invece direttamente al soggetto pubblico per la realizzazione e gestione delle medesime attività.
Non è possibile in questa sede approfondire tali articolate tematiche; resta tuttavia palesemente evidente che, in assenza di un capitale iniziale da parte del soggetto che si fa promotore di un intervento di finanza di progetto, le ricadute finanziarie dell’applicazione di tale ultimo istituto finiscono strutturalmente per arrecare un evidente depauperamento a carico delle pubbliche finanze, imponendo non solo gli oneri che derivano dalla necessità di prevedere un lucro per il privato interventore, ma altresì gli ulteriori e separati oneri che sorgono dalla necessità di copertura dei tassi di interesse che il sistema creditizio imporrà all’imprenditore al fine di garantirgli la provvista finanziaria per la realizzazione del suo progetto.
In altri termini, al fine di evitare la trasformazione dei pubblici servizi in occasioni di lucro garantito per il settore creditizio in danno dell’equilibrio delle pubbliche finanze (c.d. finanziarizzazione speculativa dei pubblici servizi), occorre assoggettare l’istituto del project financing ad una lettura evidentemente restrittiva, essendone palese la sua oggettiva e strutturale dannosità per il pubblico erario, ove indiscriminatamente e largamente applicato, in particolare in assenza dell’impiego di risorse proprie da parte del soggetto investitore e/o promotore.
Alla luce del complesso delle ragioni che precedono, il ricorso e i motivi aggiunti devono ritenersi infondati e inammissibili.