La società ricorrente ha lamentato la violazione delle norme in materia di accesso (artt. 22 ss. della l. n. 241/1990, 35-36 del d.lgs. n. 36/2023) e di segreti tecnici o commerciali (art. 98 del d.lgs. n. 30/2005), sia in quanto ritiene insussistente una “motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente” circa la sussistenza di segreti tecnici o commerciali da tutelare; sia in quanto la conoscenza dell’offerta tecnica dell’aggiudicatario sarebbe indispensabile per la difesa in giudizio dei propri interessi giuridici, di talché l’accesso dovrebbe in ogni caso essere garantito.
La pronuncia è d’interesse in quanto affronta l’eccezione di inammissibilità del Comune ove è sostenuta la tesi per la quale l’indispensabilità dei documenti richiesti per la difesa in giudizio dei propri interessi giuridici – nell’ambito di un accesso espletato secondo il modello previsto dal nuovo codice dei contratti pubblici – presupporrebbe una (ulteriore) fase amministrativa (parallela a quella “automatica” ex art. 35 del d.lgs. n. 36/2023) da attivare formalmente nei confronti della stazione appaltante ad opera del concorrente “non soddisfatto” dall’accesso all’offerta dell’aggiudicatario già ottenuto (ma in modo parziale e limitato).
In questi termini si era recentemente espresso il T.A.R. Lazio, come evidenziato in questo articolo.
T.A.R. Puglia, II, 05 marzo 2025, n. 300 ritiene non condivisibile l’assunto secondo cui ci si troverebbe al cospetto di poteri amministrativi non ancora esercitati, “posto che il diritto di accesso va valutato nel suo complesso tanto dall’Amministrazione, in prima battuta, quanto dal giudice amministrativo, in fase contenziosa. Il Consiglio di Stato ha infatti chiarito che, “il giudizio in materia di accesso, pur seguendo lo schema impugnatorio, non ha sostanzialmente natura impugnatoria, ma è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo e, in tal senso, è dunque un “giudizio sul rapporto”, come del resto si evince dall’art. 116, comma 4, del d. lgs. n. 104 del 2010, secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, «ordina l’esibizione dei documenti richiesti»” (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., n. 10/2020)” (i.e. la medesima sentenza richiamata dal T.A.R. Lazio per argomentare in modo diametralmente opposto: detto T.A.R. avrebbe sicuramente accolto l’eccezione!).
Secondo il Collegio, peraltro, “la tesi sostenuta dall’Amministrazione contrasta con la – opposta – logica acceleratoria, ispiratrice dell’attuale meccanismo ostensivo nella materia degli appalti pubblici; inoltre, non appare coerente con il dato letterale delle nuove disposizioni, laddove si consideri che l’art. 35, comma 5, del nuovo codice dei contratti pubblici prevede che “In relazione all’ipotesi di cui al comma 4, lettere a) e b), numero 3), e’ consentito l’accesso al concorrente, se indispensabile ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi giuridici rappresentati in relazione alla procedura di gara”.
Bene, sulla base di dette premesse dovrebbe ritenersi che il Collegio, valorizzando la ratio acceleratoria e di semplificazione che anima la riforma sull’accesso, procederà autonomamente alla ponderazione di interessi tra prevalenza dell’accesso difensivo sulla riservatezza, siccome attività è finalizzata a tutelare non interessi pubblici – quantomeno in via diretta – ma quelli dei privati concorrenti in gara, sì che non verrebbe in gioco una discrezionalità amministrativa o anche solo tecnica in capo alla P.a., il G.a. potendo, conseguentemente, valutare, in via diretta e per la prima volta, l’indispensabilità dell’ostensione.
Falso.
Il Collegio non avoca infatti a sè un siffatto potere, e ritiene viceversa che “la norma richiede alla p.a. che escluda o limiti l’accesso anche una valutazione sull’indispensabilità dell’accesso ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi giuridici rappresentati in relazione alla procedura di gara. Tale valutazione, dunque, è parte della (nuova) procedura (accelerata) di accesso e non necessita di una specifica (ulteriore) istanza“.
Il paradosso è evidente, e sul punto ci aveva sicuramente visto giusto il T.A.R. Lazio: come può la stazione appaltante valutare le esigenze defensionali dell’interessato all’accesso, se questi non ha avuto modo di rappresentarle alla stazione appaltante?
La norma non richiede affatto un tale (impossibile) onere alla stazione appaltante.
Delle due l’una:
- o si ammette che il Giudice possa valutare, in via diretta e per la prima volta, l’indispensabilità dell’ostensione nell’ambito del giudizio super accelerato dell’art. 36;
- o, se ciò non è ammesso, si deve necessariamente ritenere necessaria la presentazione di un’istanza alla stazione appaltante affinché questa valuti le esigenze defensionali e l’indispensabilità delle parti oscurate a fini di giustizia. In caso di diniego si dovrà ricorrere al giudice amministrativo (e, da qui, un ulteriore rompicapo: nel termine di 10 o 30 giorni?).
Il recente correttivo è intervenuto sulla pagliuzza (i.e. su una sostanzialmente inutile migliore perimetrazione dei segreti tecnici e commerciali), ed è rimasto invece silente sulla “trave”: l’applicazione pratica ha da tempo confermato la necessità e l’opportunità di correggere (o addirittura abrogare) l’art. 36 del Codice.