Secondo il Tar Lazio il limite del 40% al subappalto è conforme al diritto UE ( vedi https://www.giurisprudenzappalti.it/sentenze/secondo-il-tar-lazio-il-limite-del-40-al-subappalto-e-conforme-al-diritto-ue-per-la-cgue-no/).
Posizione confermata anche recentemente ( vedi https://www.giurisprudenzappalti.it/sentenze/tar-lazio-conferma-la-legittimita-del-subappalto-al-40/).
La Sentenza in esame appare rilevante perché, oltre a ribadire la legittimità del limite del 40% fissato dallo “sblocca cantieri”, introduce un elemento di “flessibilità”, prevedendo come il 40% sia un tetto massimo e, sulla base delle caratteristiche dell’appalto, le stazioni appaltanti scelgano discrezionalmente la percentuale di subappalto più adeguata.
Insomma il Tar Lazio rimane all’interno del quadro normativo esistente, ma prevedendo scelte discrezionali delle stazioni appaltanti sulle percentuali del subappalto sancisce un principio che può “legittimare” ( motivatamente ) qualsiasi limite ( verrebbe da dire da zero al quaranta per cento). In questa fase di incertezza sull’istituto del subappalto viene da dire che questa sentenza apre a scenari ulteriormente articolati ( per usare un eufemismo), in cui potenzialmente ogni stazione appaltante può regolare ( con motivazioni adeguate) la percentuale di subappalto utilizzando la propria discrezionalità.
Sembra che la sentenza raccolga la logica ispiratrice dell’Atto di segnalazione ANAC n. 8 del 13 novembre 2019 “Concernente la disciplina del subappalto di cui all’art. 105 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 ( vedi qui atto.segnalazione.8.2019.del.n.1035 ) : l’ invito ad un’assunzione di responsabilità da parte delle stazioni appaltanti nel disciplinare un istituto che, a seguito della Sentenza CGUE del settembre 2019, è diventato sicuramente “scivoloso”.
Vedremo dunque gli ulteriori sviluppi della giurisprudenza ( e speriamo vivamente in un intervento risolutivo del legislatore).
La ricorrente lamenta infatti che le norme di gara contengono illegittimamente il limite al subappalto fissato nella percentuale del 30%, mentre il decreto “sblocca cantieri” avrebbe innalzato la percentuale al 40%, e la disciplina europea non ammetterebbe una limitazione quantitativa.
Tar Lazio, Roma, Sezione Terza Quater, 15/12/2020, n. 13527 respinge il ricorso, e con specifico riferimento al motivo oggetto di esame stabilisce:
Col secondo motivo, la ricorrente lamenta che la Lex di gara contiene illegittimamente il limite al subappalto fissato nella percentuale del 30%, mentre il decreto “sblocca cantieri” avrebbe innalzato la percentuale al 40%, e la disciplina europea non ammetterebbe una limitazione quantitativa.
Al fine di sostenere la censura, la ricorrente invoca la sentenza di questa Sezione n. 11304 del 03.11.2020, che a sua volta richiamava T.A.R. Lazio, sez. I, 24.04.2020 n. 4183.
Ma la sentenza richiamata di questa Sezione dà torto alla ricorrente.
In quel giudizio, la ricorrente si era lamentata del fatto che il disciplinare di gara avesse fissato al 40% la quota massima dell’appalto subappaltabile, sostenendo che ciò fosse in contrasto con le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea – CGUE nelle sentenze 27 novembre 2019, C – 402/18 e 26 settembre 2019 C – 63/18.
Ora, è vero che in particolare quest’ultima pronuncia ha affermato che “la direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi”.
Ma quella pronuncia della Corte europea trova una precisa giustificazione nella particolarità del caso esaminato, trattandosi di valutare se il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, come più volte la Corte ha ammesso.
E allora la Corte ha specificato che, “anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo”, nel senso che, “durante tutta la procedura, le amministrazioni aggiudicatrici devono rispettare i principi di aggiudicazione degli appalti di cui all’articolo 18 della direttiva 2014/24, tra i quali figurano, in particolare, i principi di parità di trattamento, di trasparenza e di proporzionalità”; e siccome la normativa nazionale sottoposta all’esame della Corte, cioè l’art. 105, comma 2, del decreto legislativo n. 50/2016, “vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell’appalto pubblico in parola, cosicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori”, e “un siffatto divieto generale non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore”, si ha come conseguenza che, “per tutti gli appalti, una parte rilevante dei lavori, delle forniture o dei servizi interessati dev’essere realizzata dall’offerente stesso, sotto pena di vedersi automaticamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, anche nel caso in cui l’ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che siffatto divieto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione”.
E allora, ha affermato la Corte, “misure meno restrittive sarebbero idonee a raggiungere l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano”, tenendo anche conto che, “come indica il giudice del rinvio, il diritto italiano già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese”.
Ed è solo per questo, ma non certo come divieto generalizzato al legislatore di fissare limiti al sub appalto, che la Corte ha ritenuto che, in quel caso, “una restrizione al ricorso del subappalto come quella di cui trattasi nel procedimento principale non può essere ritenuta compatibile con la direttiva 2014/24”.
Ed è in relazione a tali conclusioni che, con la citata sentenza, questa Sezione ha precisato che la pronuncia della Corte, “pur avendo censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30% dei lavori, non esclude la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti superiori”, nel senso che la Corte ha sì “considerato in contrasto con le direttive comunitarie in materia il limite fissato”, ma “non escludendo invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo”, cosicché “non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l’attuale limite pari al 40% delle opere, previsto dall’art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019.
Infatti, è l’art. 1, comma 18, del D.L. 18/04/2019 n. 32, conv. in L. 14.06.2019 n. 55, ad aver previsto che, “nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2020, in deroga all’articolo 105, comma 2, del medesimo codice, fatto salvo quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo 105, il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. Fino alla medesima data di cui al periodo precedente, sono altresì sospese l’applicazione del comma 6 dell’articolo 105 e del terzo periodo del comma 2 dell’articolo 174, nonché le verifiche in sede di gara, di cui all’articolo 80 del medesimo codice, riferite al subappaltatore”.
Vale a dire che detta previsione non vincola le Amministrazioni, limitandosi a stabilire un tetto massimo, in considerazione delle caratteristiche dell’appalto, lasciando alla discrezionalità delle stazioni appaltanti di scegliere la percentuale più adeguata.
È possibile, pertanto, che, come è accaduto nella specie, la S.A. preveda dei limiti inferiori al 40% per le prestazioni subappaltabili, avendo essa individuato il limite del 30% in considerazione della natura altamente specialistica e tecnologica dell’appalto de quo.
In conclusione, il ricorso va rigettato.