Il bando di gara:
- prevedeva 5 punti premiali per il possesso della certificazione della parità di genere;
- non disciplinava l’avvalimento premiale, ma si limitava a richiamare l’art. 104.
L’offerente (oggi ricorrente) formula allora il seguente: “Con riferimento alla griglia di valutazione pag. 25 del Disciplinare, punto A.2 (sottopunto 3), si chiede se è ammissibile l’avvalimento premiale per il possesso della certificazione della parità di genere di cui all’art. 46 bis del D.Lgs 198/2006”.
La risposta del RUP è la seguente: “In merito al quesito relativo all’ammissibilità dell’avvalimento premiale circa il possesso della “certificazione del sistema di gestione per la parità di genere all’interno delle organizzazioni” si specifica che detta certificazione (UNI/PdR 125- 2022) viene rilasciata ad enti ed imprese che dimostrano di aver adottato ed implementato un efficace sistema di gestione per la parità di genere conforme alle linee guida UNI/PdR 125/2022. Nello specifico, trattandosi di un appalto di sola manodopera, detta certificazione non può essere oggetto di avvalimento”.
Detto offerente non ricorre per tale ragione all’avvalimento, mentre vi ricorre l’aggiudicatario, che proprio grazie ai 5 punti relativi alla parità di genere sopravanza l’offerente in graduatoria, che insorge quindi avverso l’aggiudicazione formulando due richieste di risarcimento del danno:
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la prima è conseguente all’accoglimento della domanda impugnatoria, e quindi al risarcimento in forma specifica (i.e. subentro nel contratto).
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La seconda ragione di danno è legata viceversa al comportamento del Comune che ha indotto la ricorrente principale a non ricorrere all’avvalimento, con conseguente violazione dell’affidamento, avendo il RUP indotto colpevolmente in errore la ricorrente principale che non è ricorsa alla certificazione di genere in avvalimento.
T.A.R. Marche, I, 07 novembre 2024, n. 862 respinge nel merito il ricorso (e quindi la prima ipotesi di risarcimento) in quanto infondato, siccome ritiene sicuramente possibile l’avvalimento in relazione alla certificazione di genere.
Il T.A.R. viceversa accoglie la seconda ragione di danno.
“Nella specie il chiarimento fornito al di fuori della serie procedimentale vera e propria attinente alla gara, ed errato, è stato colposamente di segno diametralmente opposto rispetto alle decisioni prese nella serie procedimentale di gara, corrette.
Il chiarimento fornito collide con la novità introdotta nel nuovo codice in tema di avvalimento premiale e denota elementi di colpa, dato che sarebbe stato sufficiente indicare l’art. 104 cod. app, quale fonte di disciplina e base per la risposta al quesito.
Sussiste, quindi, l’elemento psicologico richiesto dalla responsabilità aquiliana, così come sussiste il danno evento, consistente nell’adesione a tale chiarimento e nella mancata attivazione dell’avvalimento da parte della ricorrente principale.
Sussiste anche il danno conseguenza, dato dalla perdita della chance di aggiudicazione, che deve ritenersi seria, dato che la ricorrente principale ha dichiarato incontestatamente che in precedenti gare è ricorsa a tale tipo di avvalimento (cfr. doc. n. 13 allegato al ricorso) e può ritenersi molto probabile che avrebbe potuto ricorrervi anche per la gara in rilievo.
Sussiste, infine, anche il nesso eziologico, poiché le faq, i chiarimenti, proprio perché provengono da fonte autorevole, ossia la pubblica amministrazione, la cui attività è generalmente sorretta dal principio di presunzione di legittimità (Consiglio di Stato, sez. IV, 26/8/2024, n. 7236), non possono essere considerati tamquam non essent e orientano inevitabilmente gli operatori economici.
L’offerta in risposta all’invito ad offrire della stazione appaltante è risultata falsata a causa dell’azione (l’informazione non corretta) dell’Amministrazione stessa ed ha determinato, in concreto, la formulazione di un’offerta valida (non era in gioco l’ammissibilità alla gara, ma una premialità) ma formulata a condizioni diverse (analogamente a quanto accade nel dolo incidente disciplinato dall’art. 1440 c.c. e nei c.d. “vizi incompleti della volontà”, ricondotti dalla moderna dottrina e dalla giurisprudenza alla responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. e, più in generale, alla responsabilità da contratto valido; seppur nella specie, occorre sottolineare, sia ravvisabile mera colpa)”.