Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo.
Questo il principio ribadito da Tar Lazio, Roma, Sez. II Ter, 21/01/2022, n.725 nel respingere ricorso:
Il risarcimento del danno, infatti, non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso), nonché la riscontrata ricorrenza, pur in presenza di un interesse legittimo oppositivo, di un accertamento in ordine all’illegittima compressione della situazione giuridica lesa (con riferimento alla applicabilità, anche agli interessi oppositivi, del principio secondo cui “per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 Cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico”, cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 28 settembre 2021, n. 6538, che conferma Tar Piemonte, 3 gennaio 2014, n. 2).
Ne discende che pur in presenza di interessi oppositivi non ricorre l’ingiustizia del danno nel caso in cui la pronuncia di annullamento, intervenuta per vizi formali, abbia espressamente individuato gli spazi residui per un corretto esercizio del potere in senso nuovamente sfavorevole al ricorrente, così da non contenere alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene.
Il detto accertamento di spettanza è del tutto assente nei casi in esame, atteso che la sentenza n. 840/2018 lo ha espressamente escluso (avendo riscontrato la ricorrenza di tutti i presupposti per l’esercizio del potere, uno solo dei quali, pur sussistendo, non era stato trasfuso nella motivazione), mentre la successiva sentenza n. 2188/2018 lo ha logicamente presupposto, avendo fatto nuovamente salva la possibilità di riedizione del potere, così rimettendo all’Amministrazione la valutazione discrezionale in ordine al futuro riesercizio, anche in senso sfavorevole al privato destinatario, pur nel rispetto del principio conformativo discendente dal giudicato.
Dalla motivazione delle due sentenze, inoltre, emerge come difetti, con riferimento ad entrambe le domande risarcitorie formulate dalla ricorrente, pure l’ulteriore presupposto della colpa dell’amministrazione, l’accertamento della ricorrenza della quale, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, è invece necessaria condizione del domandato risarcimento, non applicandosi in materia di atti delle Autorità indipendenti il modello di responsabilità oggettiva dettato per la sola materia degli appalti pubblici.
Con riferimento all’assenza di colpa in capo all’Ivass occorre considerare che entrambe le sentenze sono state adottate in riforma di statuizioni di rigetto di primo grado, l’appello cautelare avverso le quali era stato respinto dal medesimo Consiglio di Stato, ciò che già fornisce un indice significativo in ordine alle difficoltà connesse all’interpretazione della normativa della quale è stata fatta applicazione.
La non agevole soluzione dei profili ermeneutici in rilievo, inoltre, è espressamente riconosciuta dal giudice dell’annullamento che, sia pure nella parte in cui motiva in ordine alla compensazione delle spese, riconosce, in tutte e due i casi, “la novità e complessità delle questioni” affrontate.
Le citate novità e complessità emergevano, in ogni caso, dall’intero impianto motivazionale delle due sentenze, attese le particolari difficoltà interpretative poste dalla disposizione applicata e dagli articolati accertamenti connaturati al tipo di provvedimento adottato.
Le circostanze indicate, considerate nel loro insieme, escludono quindi, a giudizio del Collegio, che l’Amministrazione abbia agito in violazione delle regole di correttezza e buona fede, così che non può essere ravvisata la ricorrenza di una condotta colposa della stessa (cf. Consiglio di Stato, sez. III, 17 settembre 2019, n. 4097).
In proposito è consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, “ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni, l’illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non può fare riscontrare la colpevolezza-rimproverabilità dell’Amministrazione, rilevando invece altri elementi, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione; con specifico riferimento all’elemento psicologico la colpa della pubblica amministrazione viene individuata non nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma quando vi siano state inescusabili gravi negligenze od omissioni, oppure gravi errori interpretativi di norme, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione; pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 20 agosto 2021, n.5963 e, con specifico riferimento all’Ivass, sez. VI, 8 settembre 2020, n. 5409).