Il fallimento della società affittante non determina la perdita automatica dei requisiti in capo agli alla società affittuaria .
Questo il principio sancito da Tar Campania, Napoli, Sez. IV, 26/ 11/ 2019, n.5585.
La vicenda è relativa all’esclusione da una gara in quanto la Stazione appaltante ha rilevato la “perdita dei requisiti soggettivi della ricorrente per effetto dello scioglimento del contratto di affitto di azienda, stipulato con l’impresa affittante.
Venuto meno tale contratto, la stazione appaltante ha, infatti, rilevato che la ricorrente era divenuta priva del fatturato di impresa necessario per partecipare alla gara, requisito che sarebbe dovuto “permanere” senza soluzione di continuità in ogni fase della gara e anche nella successiva fase esecutiva. La stazione appaltante ha, inoltre, rilevato la mancata produzione delle dichiarazioni di cui all’art. 80 cod. appalti con riguardo agli amministratori dell’impresa affittante (poi fallita) e, comunque, la perdita dei requisiti morali in ragione del fallimento della medesima impresa affittante.
L’esclusione viene impugnata e Tar Campania, Napoli, Sez. IV, 26/ 11/ 2019, n.5585 accoglie il ricorso.
La questione ruota intorno al fallimento dell’impresa affittante il ramo di azienda che ha consentito alla ricorrente di raggiungere il requisito del fatturato richiesto dalla gara.
Da tale evento sarebbero scaturiti:
– il recesso dal contratto di affitto ai sensi dell’art. 79 l. fall. (R.D. 16/03/1942, n. 267) con conseguente perdita del requisito;
– la violazione degli obblighi dichiarativi di cui all’art. 80 cod. appalti (d.lgs. 50/2016) circa le condizioni soggettive degli amministratori dell’impresa affittante;
– la perdita dei requisiti morali dell’impresa che, evidentemente, ridonderebbe anche sull’impresa affittuaria che ha partecipato alla gara.
Riguardo alla violazione degli obblighi dichiarativi il Tar evidenzia come debba essere esclusa in quanto il disciplinare di gara richiedeva di rendere dichiarazioni relative alle operazioni straordinarie avvenute entro l’anno precedente al bando di gara (punto 16.1.5 del disciplinare) e, nel caso di specie, la gara è stata bandita il 18.09.2018, mentre il contratto di affitto del ramo di azienda di cui di discute è del 7.02.2017, ossia risale a più di un anno prima del bando con la conseguenza che nessuna dichiarazione doveva essere resa dagli amministratori della società affittante.
In ogni caso, la violazione dell’obbligo dichiarativo avrebbe potuto essere oggetto del soccorso istruttorio di cui all’art. 83 co. 9 cod. appalti .
Quanto alla perdita dei requisiti “morali” in capo alla ricorrente in ragione del fallimento dell’impresa affittante, va detto che l’affitto di un ramo di azienda è un contratto che determina il passaggio della gestione del ramo di azienda all’affittuario realizzando un fenomeno di “sostituzione di un imprenditore a un altro” sul piano operativo (art. 2558 c.c.; v. ex multis, Cassazione civile sez. I, 05/12/2018, n.31466).
Giova osservare che la disciplina del codice degli appalti, seppure esclude dalla partecipazione alla gara gli imprenditori falliti, prevede la possibilità che il compendio aziendale persista nell’esecuzione della prestazione oggetto dell’appalto nel caso in cui il curatore sia autorizzato all’esercizio dell’impresa (art. 110 co. 3 cod. appalti) e la stessa partecipazione alle gare è consentita qualora l’impresa sia ammessa al concordato preventivo (artt. 110 co. 4 cod. appalti, 161 e 186 bis R.D. 16/03/1942, n. 267, l.fall.).
Anche al fine di consentire la conservazione del tessuto imprenditoriale, quindi, il fallimento non impedisce senz’altro che il compendio aziendale possa essere utilmente impiegato, a determinate condizioni, nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica.
L’estensione della clausola di esclusione di cui all’art. 80 co. 5 lett. b) cod. appalti (che prevede l’esclusione dell’operatore economico che “sia stato sottoposto a fallimento o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o sia in corso nei suoi confronti un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall’articolo 110 del presente codice e dall’articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 all’impresa”) all’impresa affittuaria impedirebbe appunto l’impiego del compendio aziendale, pur se inserito in un altro contesto imprenditoriale, e finirebbe con il negare la finalità, evidente nella disciplina sopra descritta, di salvaguardare le realtà produttive e di tutelare la stessa massa dei creditori dell’azienda fallita che perderebbe una delle possibilità di mettere a frutto le proprie competenze.
Il fallimento della società affittante XXX, quindi, non determina né la perdita dei requisiti morali in capo agli amministratori della società affittuaria né si estende alla società affittuaria YYY.
Giova osservare, nello stesso senso, che è espressamente prevista l’estensione all’appaltatore della causa di esclusione di cui si discute nel solo caso in cui essa colpisca il subappaltatore in presenza delle condizioni di cui all’art. 105 co. 6 cod. appalti.
Ebbene, in mancanza di una espressa disposizione, non è possibile adottare un’interpretazione che estenda l’operatività dell’esclusione a ipotesi non espressamente previste. Difatti, le cause di esclusione, poiché derogatorie rispetto al principio pro concorrenziale che tende alla più ampia partecipazione possibile alle gare di appalto e soggette al principio di tassatività (art. 83 co. 8 cod. appalti, ult. periodo: “i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”), devono essere ritenute di stretta interpretazione (T.A.R. Napoli, sez. V, 17/05/2019, n.2616; Consiglio di Stato sez. V, 23/03/2015, n.1565).
Dopo essersi espressa sulla persistenza dei requisiti morali dell’impresa affittuaria,il Tar Campania analizza il riflessi del recesso esercitato dal curatore ai sensi dell’art. 79 l. fall. (“il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto d’azienda, ma entrambe le parti possono recedere entro sessanta giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che, nel dissenso tra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati”) verificando se esso escluda o meno la disponibilità del requisito mutuato dall’azienda affittante (il fatturato globale di impresa).
La ricorrente sostiene, in tal senso, che il recesso non abbia, per le sue concrete modalità, determinato la perdita del requisito né la cessazione dell’operatività del contratto di affitto di azienda.
Giova precisare che – com’è pacifico anche tra le parti – l’affitto di ramo di azienda è strumento giuridico idoneo a garantire il possesso del requisito in capo alla società affittuaria (v. Consiglio di Stato sez. III, 17/03/2017, n.1212). In giurisprudenza, peraltro, si richiede che il contratto di affitto garantisca effettivamente il possesso del compendio aziendale a cui è connesso il requisito (v. T.A.R. Milano, sez. I, 12/11/2018, n.2546) e che abbia una durata non inferiore alla durata dell’appalto (v. Consiglio di Stato, sez. V, 04/02/2019, n. 827).
I richiamati orientamenti giurisprudenziali mirano, quindi, alla verifica dell’effettivo possesso del requisito impiegato nella gara in virtù del contratto di affitto.
Nel caso di specie, a parere del Collegio, assume un rilievo prevalente la circostanza che il recesso sia stato posto in essere in modo da non pregiudicare la costanza e la pienezza della disponibilità del compendio aziendale in capo alla ricorrente; in sostanza, nel caso di specie, non si può dubitare che xxx abbia mantenuto la detenzione del ramo di azienda stabilmente e senza soluzione di continuità di talchè la sua esclusione risulta ingiustificata e non conforme al principio di proporzionalità. La posizione di xxx si è, in parte, modificata, ma ciò non ha intaccato la stabilità della detenzione del complesso aziendale, prima, quale affittuaria dell’azienda e, poi, anche quale promissaria acquirente.
Con ulteriore impegno esplicativo, occorre rilevare che il recesso, effettuato ai sensi dell’art. 79 l. fall., è stato, pur non esplicitamente, condizionato alla possibilità che l’affittuaria formulasse una proposta di acquisto.
La piena disponibilità a consentire l’esercizio provvisorio dell’azienda e a valutare le proposte di acquisto onde “postergare” l’efficacia del recesso e, quindi, la restituzione del compendio aziendale, valgono a introdurre una condizione sospensiva del recesso che non è mai, quindi, divenuto efficace.
Giova rammentare che il recesso è un atto negoziale unilaterale che non sfugge alle regole di interpretazione del contratto, pur nei limiti della compatibilità (artt. 1324 e 1362 e ss. c.c.); ebbene, l’indagine sulla effettiva volontà del recedente (art. 1362 c.c.), l’interpretazione complessiva delle espressioni utilizzate nella nota con cui si è esercitato il recesso (art. 1363 c.c.) nonché lo stesso principio di interpretazione secondo buona fede (art. 1366 c.c.) inducono, appunto, a concludere che il recesso non fosse immediatamente operativo, ma, piuttosto, condizionato all’eventuale formulazione e, poi, al perfezionamento dell’acquisto dell’azienda.
Nello stesso senso, è l’indagine della causa del negozio (unilaterale) di recesso; essa va intesa quale “causa concreta” e, quindi, non tipica e immutabile, ma da collegarsi alla concreta finalità posta in essere dal recedente che, nel caso di specie, è senz’altro quella di consentire e, anzi, di favorire il consolidamento della detenzione del compendio aziendale e la sua trasformazione in possesso (cd. traditio brevi manu). Anche da questo punto di vista, quindi, il recesso è da intendersi condizionato sospensivamente al perfezionamento della vendita del compendio aziendale all’affittuaria.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso va accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati con il ricorso principale e con quello per motivi aggiunti.