Estremamente importante la sentenza del Tar Marche, perché si esprime su un principio ( l’equo compenso dei liberi professionisti ) che nonostante previsioni di legge, decisioni della giurisprudenza, iniziative legislative in corso, stenta ad essere affermato nella sua pienezza.
Anche se la vicenda è relativa ad avviso pubblicato per l’acquisizione di candidature ai fini della nomina dell’Organo di Controllo (Sindaco Unico) di una società in house per il triennio 2019/2021, è evidente come i principi affermati in sentenza riguardino l’intera pubblica amministrazione.
Nell’avviso pubblico si stabiliva che la selezione, tra tutte le candidature pervenute, sarebbe avvenuta mediante sorteggio e previa allegazione, da parte dei candidati, del proprio curriculum; il medesimo avviso ha previsto, tra le condizioni contrattuali, quella secondo cui “all’Organo di Controllo (Sindaco Unico) sarà corrisposto un compenso annuo pari ad Euro 2.000,00 oltre IVA e CPA.
Secondo l’Ordine dei Commercialisti questa clausola violerebbe il minimo tariffario, da determinarsi tenendo conto sia della parte di compenso riferibile all’incarico di revisore dei conti (art. 22 del DM n. 140 del 20 luglio 2012), sia alla parte di compenso riferibile all’incarico di sindaco della società (art. 29 del DM n. 140 del 20 luglio 2012).
Violerebbe, altresì, la disciplina sull’equo compenso dei professionisti autonomi di cui alla legge n. 172 del 2017, di conversione del decreto legge n. 148 del 2017, come modificata dalla legge di bilancio n. 2015 del 2017, che ha introdotto un apposito art. 13 bis alla legge n. 247 del 2012 (legge forense); detta disciplina è stata dettata dapprima per i soli avvocati e poi estesa, per effetto dell’art. 19 quaterdecies del decreto legge n. 148 del 2017, anche agli altri professionisti e anche nei confronti della pubblica amministrazione, quest’ultima annoverata tra i contraenti cosiddetti “forti”.
Tar Marche, Sez. I, 09/ 12/ 2019, n. 761, accoglie il ricorso, per cui gli atti devono essere annullati nella parte in cui individuano in € 2000,00 annui il compenso dovuto al professionista.
Il Tar ricorda che la legge 4 dicembre 2017, n. 172, nel convertire il decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148, vi ha inserito l’art. 19 quaterdecies, con cui si è provveduto ad introdurre l’art. 13 bis nella legge n. 247 del 2012. Detta ultima norma disciplina il compenso spettante agli avvocati iscritti all’albo, nei rapporti professionali in favore di “imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361CE della Commissione, del 6 maggio 2003 … con riferimento ai casi in cui le convenzioni sono unilateralmente predisposte dalle predette imprese”.
Ai sensi del comma 2 dell’art. 13 bis citato – reso applicabile a tutti i professionisti proprio dal menzionato art. 19 quaterdecies – il compenso si intende equo se è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione. Sempre l’art. 19 quaterdecies del decreto legge n. 148 del 2017, al comma 3, ha riconosciuto l’applicabilità del principio anche alla pubblica amministrazione, stabilendo che essa, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisca il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della relativa legge di conversione.
Dopo aver richiamato la necessità di garantire un equo compenso ai liberi professionisti, ed essersi soffermato sul DM 140 /2012 ( Tariffa Professionale dei Dottori Commercialisti ed esperti contabili) e sulla giurisprudenza amministrativa sui criteri di liquidazione del compenso, i giudici traggono i seguenti principi:
– le pubbliche amministrazioni, nell’affidamento dei servizi di opera professionale (qual è quello in questione), sono tenute a corrispondere un compenso congruo ed equo, ovvero proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione;
– al fine di accertare l’equità del compenso, occorre far riferimento ai parametri stabiliti dai singoli decreti ministeriali per ciascuna categoria di professionisti;
– detti parametri non possono essere considerati alla stregua di minimi tariffari inderogabili (pena la surrettizia introduzione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali, abolite dal cosiddetto “decreto Bersani”), ma costituiscono un criterio orientativo per la determinazione del compenso; in altri termini, non è esclusa, in via di principio, la possibilità che le parti pattuiscano liberamente il compenso anche in deroga ai parametri di liquidazione indicati nei citati decreti ministeriali (in particolare, art. 1, comma 7, del DM n. 140 del 2012);
– tanto è confermato dalla stessa Corte di Cassazione con le pronunce richiamate dai ricorrenti (Cass. Civ., sez. II, 17 gennaio 2018, n. 1018 e 31 agosto 2018, n. 21487); in particolare, nella prima delle citate pronunce si legge testualmente: “… il D.M. n. 140, risulta essere stato emanato (D.L. n. 1 del 2012, conv. nella L. n. 27 del 2012) allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l’avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l’incarico professionale; per contro, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55, il quale non prevale sul D.M. n. 140, per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poiché, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione resistente, non è il D.M. n. 140 – evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente (ed infatti, l’intervento del giudice ivi preso in considerazione riguarda il caso in cui fra le parti non fosse stato preventivamente stabilito il compenso o fosse successivamente insorto conflitto) – a prevalere, ma il D.M. n. 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa …”;
– tuttavia, quando il cliente è un contraente forte – ovvero, come nella specie, la pubblica amministrazione – la pattuizione del compenso professionale incontra il limite del rispetto del principio dell’equo compenso (inteso, si ribadisce, come proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione), che va armonizzato con le esigenze di riequilibrio finanziario e non recedere rispetto ad esse (TAR Campania Napoli, sez. I, ordinanza n. 1541 del 25 ottobre 2018).
Sulla base dei suddetti principi, per il caso in esame , il Collegio rileva che, dagli atti impugnati, non risulta sulla base di quali parametri l’Amministrazione sia giunta alla determinazione del compenso annuo al professionista per l’incarico in questione, né se la stessa abbia fatto applicazione, a tale fine, del principio dell’equo compenso; ciò anche avuto riguardo alle risultanze della consulenza tecnica di parte versata in atti (non contestata), dalla quale emerge che, sulla base dei parametri di liquidazione di cui al DM n. 140 del 2012, la determinazione del compenso annuo spettante per la prestazione professionale in parola sarebbe di molto superiore all’importo di € 2000,00 previsto dall’avviso pubblico. Ne consegue l’illegittimità della clausola contenuta nell’art. 1 di detto avviso pubblico, secondo cui “all’Organo di Controllo (Sindaco Unico) sarà corrisposto un compenso annuo pari ad € 2.000,00 oltre IVA e CAP …”, nei limiti e nella misura in cui, per l’individuazione del compenso da corrispondere al professionista, l’Amministrazione non abbia rispettato il principio dell’equo compenso, che impone l’applicazione di un criterio di proporzionalità rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, in attuazione dei principi di trasparenza, di buon andamento e di efficacia dell’azione amministrativa, nonché di fare riferimento ai parametri stabiliti – per quel che qui interessa – dal DM n. 140 del 2012 (nei sensi sopra chiariti).
Gli atti impugnati, dunque, vanno annullati nella parte in cui individuano in € 2000,00 annui il compenso dovuto al professionista (fermo restando il resto), fatta salva la possibilità che l’Amministrazione si ridetermini tenendo conto di quanto innanzi argomentato.