Qual è il momento dopo il quale l’irregolarità del DURC non rappresenta più causa di esclusione ex art. 80, ma integra esclusivamente la fattispecie di cui all’art. 30, comma 5, prevista per la fase di esecuzione?
Pregevole (ma verosimilmente erroneo) il tentativo del Tar Valle d’Aosta, sez. Unica, 13 luglio 2018, n. 36, di smontare la tesi del Consiglio di Stato sez. IV, 02 luglio 2018, n. 4039 qui riportata. che secondo il Collegio contrasta con un’interpretazione sistematica e teleologica delle norme del d.lgs 50/16. A fine articolo il pensiero rispetto alla pronuncia.
“Occorre, a questo proposito, esaminare, in primo luogo, l’art. 32, d.lgs 50/16, recante “Fasi delle procedure di affidamento”.
Dall’esegesi dell’articolo in esame emerge che la procedura di affidamento, in senso lato, può essere suddivisa in tre fasi:
– la gara vera e propria, che si conclude con l’aggiudicazione definitiva;
– la fase tra l’adozione dell’aggiudicazione definitiva e la stipulazione del contratto;
– la stipulazione del contratto e la fase integrativa dell’efficacia del contratto.
In particolare, ai sensi dei commi 5,6,7, la stazione appaltante, previa verifica della proposta di aggiudicazione, ai sensi dell’art. 33, comma 1, provvede all’aggiudicazione. L’aggiudicazione non equivale ad accettazione dell’offerta. L’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 8. L’aggiudicazione diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti.
Con l’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva si conclude la procedura in senso stretto, ovvero il procedimento amministrativo ad evidenza pubblica mediante il quale, con le garanzie partecipative a tutela della concorrenza, previste dal d.lgs 50/16, viene selezionato il contraente tra le imprese partecipanti.
Il provvedimento di esclusione in senso stretto, quindi, come si comprende anche dall’interpretazione dell’art. 120, comma 2 bis, d.lgs 104/10, può essere emesso solo nella prima fase, quella della gara, fino all’adozione dell’aggiudicazione definitiva.
Non a caso, come visto, a seguito della proposta di aggiudicazione la Stazione appaltante deve controllare i requisiti di partecipazione e solo nel caso di mancato riscontro di una delle cause di esclusione può procedere all’aggiudicazione definitiva.
Successivamente all’adozione di questo provvedimento, invece, l’esclusione in senso stretto e, quindi, la semplice e diretta applicazione dell’art. 80, d.lgs 50/16, non sono ammissibili, perché è lo stesso tenore letterale dell’art. 32, comma 8, d.lgs 50/16, ad escluderlo.
Al riguardo, <<divenuta efficace l’aggiudicazione, e fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario. Se la stipulazione del contratto non avviene nel termine fissato, l’aggiudicatario può, mediante atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto…>>.
Una volta divenuta efficace l’aggiudicazione, quindi, permane certamente il potere di autotutela in capo alla Pubblica amministrazione, ma solo nei limiti e in presenza degli stringenti presupposti delle norme che detto potere contemplano e, quindi, in particolare, degli artt. 21 quinquies e nonies, l. 241/90.
In questo senso, le fattispecie di cui all’art. 80, d.lgs 50/16, possono sì venire in esame ai fini dell’adozione di un provvedimento di annullamento d’ufficio (se si tratta di una situazione verificatasi anteriormente all’aggiudicazione definitiva) o di un provvedimento di revoca (se si tratta di fattispecie insorta successivamente all’aggiudicazione definitiva), ma solo laddove sussistano anche gli ulteriori presupposti di cui alle due norme in questione.
Si consideri a questo riguardo che, con particolare riferimento alla revoca, l’art 21 quinquies l. 241/90 richiede:
– sopravvenuti motivi di pubblico interesse,
ovvero
– un mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento,
ovvero
– una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
In ogni caso, occorre che la Pubblica amministrazione, nell’adottare il provvedimento di revoca, fornisca una motivazione specifica ed adeguata con riferimento ai presupposti in questione.
In particolare, le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l’intensità dell’interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell’atto originario; la motivazione della revoca deve essere profonda e convincente, nell’esplicitare, non solo i contenuti della nuova valutazione dell’interesse pubblico, ma anche la sua prevalenza su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole (in questo senso, T.G.R.A. Trento, 03/01/2018, n. 2).
Ecco, allora, che il provvedimento di revoca in questa sede impugnato si presenta illegittimo già sotto il profilo motivazionale, in quanto si limita a richiamare pedissequamente l’art. 80 senza però fornire alcuna adeguata motivazione nel senso sopra esposto.
Più precisamente, nel corso della fase di gara, le ipotesi di cui all’art. 80, sono di diretta, stretta e cogente applicazione perché deve essere garantito non solo l’interesse della P.A. ad individuare un affidabile contraente, ma ancor prima, va tutelata la par condicio tra le imprese partecipanti non potendosi in questo frangente consentire un apporto collaborativo da parte della P.A. se non nei casi, che qui non rilevano, di soccorso istruttorio.
Una volta scelta in modo corretto la controparte, però, qualora, cioè, le fattispecie “escludenti” sorgano successivamente all’aggiudicazione, non viene più in gioco la tutela della par condicio tra le imprese, ma solo l’interesse della Pubblica Amministrazione a stipulare il contratto con un soggetto affidabile e credibile, avendo riguardo all’adempimento degli obblighi previsti dalla legge e dal contratto medesimo.
Ecco allora che, nell’ottica dell’affidabilità, ai fini dell’adozione di un provvedimento di revoca, la rilevanza delle diverse situazioni “escludenti” previste dall’art. 80 non è identica potendo incidere su tale giudizio, ad esempio, la possibilità, per l’aggiudicataria, di emendare la situazione medesima.
A scanso di qualunque equivoco, non si vuole citare l’art 80, comma 4, che riguarda specificamente (ad ulteriore conferma di quanto sin qui detto) la prima fase partecipativa, quella di gara, ma si vuole al contrario valorizzare la portata sistematica dell’art. 30, comma 5.
Detta norma, che si applica specificamente alla fase di esecuzione, prevede che << in caso di inadempienza contributiva risultante dal documento unico di regolarita’ contributiva relativo a personale dipendente dell’affidatario o del subappaltatore o dei soggetti titolari di subappalti e cottimi di cui all’articolo 105, impiegato nell’esecuzione del contratto, la stazione appaltante trattiene dal certificato di pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza per il successivo versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi, compresa, nei lavori, la cassa edile>>.
Come si può notare, nonostante si tratti di sempre del medesimo inadempimento che, ai sensi dell’art. 80 è considerato grave violazione idonea ad escludere la partecipazione dalla procedura, il legislatore non ha inteso prevedere il potere di recesso o di risoluzione del contratto da parte della Stazione appaltante, ma fa salva la stipula del contratto medesimo.
Questo dimostra che lo stesso vizio ha una declinazione diversa perché diversi sono gli interessi che vanno tutelati.
Ma allora, seguendo il ragionamento sopra svolto, a seguito dell’aggiudicazione, laddove non viene più in gioco il controinteresse delle altre imprese partecipanti, la violazione consistente in un Durc negativo successivo al provvedimento di aggiudicazione medesimo, rilevando solo nella misura in cui incide in modo radicale sull’affidabilità dell’impresa aggiudicataria quale contraente, deve essere valutata alla luce del comportamento tenuto dalla stessa impresa nella fase “precontrattuale” in questione e la P.A. deve consentire ad essa di regolarizzare in un termine congruo (come quello previsto dall’art. 32, comma 8 per la stipula del contratto) la situazione debitoria così venutasi a creare”.
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Questi sono quelli che riteniamo gli errori fondamentali nel ragionamento dell’odierno Collegio.
Anzitutto è erronea la statuizione secondo la quale a seguito della proposta di aggiudicazione la Stazione appaltante deve controllare i requisiti di partecipazione e solo nel caso di mancato riscontro di una delle cause di esclusione può procedere all’aggiudicazione definitiva. Non vi è infatti alcuna norma che preveda tale antecedenza della fase di verifica dei requisiti rispetto all’aggiudicazione. Al contrario, invece, dal combinato disposto dei commi 6 e 7 dell’art. 32 del Codice, emerge chiaramente che l’aggiudicazione non equivale ad accettazione dell’offerta, e che la stessa diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti. Di talché è incontestabile che il controllo dei requisiti è presupposto per l’efficacia dell’aggiudicazione, e non già anche per l’adozione del provvedimento di aggiudicazione.
Ed è soltanto l’aggiudicazione efficace presupposto per la stipula del contratto ed il conseguente avvio delle prestazioni, essendo solo l’acquisizione d’efficacia idonea a definire stabilmente i rapporti fra stazione appaltante e l’operatore economico destinatario della proposta di aggiudicazione (e della conseguente aggiudicazione non ancora efficace).
Ecco perché non è da ritenersi corretta l’analisi della portata sistematica dell’art. 30, comma 5 del Codice avanzata dal Collegio: il citato articolo, come del resto ammesso dal Collegio stesso, si applica specificamente alla fase di esecuzione, fase impossibile in assenza di un’aggiudicazione efficace.
Il manifestarsi di una causa di esclusione prima della stipula del contratto determina dunque l’impossibilità di dotare di efficacia l’aggiudicazione, con conseguente impossibilità di stipulare il contratto per fatto imputabile all’operatore economico. Ed ecco perché non si può parlare in termini tecnici di “revoca” o “annullamento” dell’aggiudicazione inefficace come invece propinato dall’odierno TAR.
Si tratta infatti di “mero ritiro” di un provvedimento che non ha ancora iniziato a sortire i propri effetti. Non è necessario alcun “rinforzo motivazionale” come invece richiesto nell’odierna pronuncia: la motivazione opera ex lege, in forza della speciale previsione di cui al già citato settimo comma dell’art. 32, il quale richiede al provvedimento uno “specifico requisito di esecutività”.