“I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice“.
Questo il principio di diritto espresso da CGUE, sez. IX, 2 maggio 2019, C‑309/18.
Tutto si può dire, fuorché il principio sia perentorio; e da qui il punto di domanda nel titolo che frappone una cesura tra l’epilogo e quella che dovrebbe essere la sua logica conseguenza: la certezza del diritto.
Ed anzi si può dire che per certi versi il diktat è financo contraddittorio.
La Corte di Lussemburgo ammette infatti esplicitamente che “dagli elementi forniti dal giudice del rinvio emerge che l’obbligo, a pena di esclusione, di indicare separatamente i costi della manodopera discende chiaramente dal combinato disposto dell’articolo 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici e dell’articolo 83, comma 9, del medesimo, in vigore al momento della pubblicazione del bando di gara oggetto del procedimento principale. Sulla scorta dell’articolo 56, paragrafo 3, della direttiva 2014/24, il legislatore italiano ha deciso, all’articolo 83, comma 9, del succitato codice, di escludere dalla procedura di soccorso istruttorio, in particolare, l’ipotesi in cui le informazioni mancanti riguardino i costi della manodopera“.
Prosegue sostenendo poi che la conseguenza è “che qualsiasi offerente ragionevolmente informato e normalmente diligente era, in linea di principio, in grado di prendere conoscenza delle norme pertinenti applicabili alla procedura di gara di cui al procedimento principale, incluso l’obbligo di indicare nell’offerta economica i costi della manodopera“.
Ed allora perché il “tuttavia” con cui si apre il secondo periodo del principio, che confuta la conclusione del sillogismo in quanto le premesse sono affette da aporia?
Come possono le disposizioni della gara d’appalto, si vuol dire, non consentire agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, se questi devono essere diligenti e conoscere la chiara disposizione primaria?
Il soccorso istruttorio è ammissibile se il modulo predisposto dalla stazione appaltante, che invero non costituisce nemmeno lex specialis, non prevede come nel caso scrutinato uno spazio all’uopo riservato per l’indicazione dei costi in parola? La risposta lascia perplessi, e può forse trovare applicazione esclusivamente nelle gare telematiche che prevedono campi “vincolati” ed “immodificabili”, per quelle vetuste piattaforme non aggiornate alle sopravvenienze normative (cfr. ad esempio questa pronuncia riferita al MEPA).
La Corte, analizzando il caso specifico, sottolinea che “sebbene il giudice del rinvio rilevi che il bando di gara di cui al procedimento principale non richiamava espressamente l’obbligo incombente ai potenziali offerenti, previsto all’articolo 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici, di indicare, nell’offerta economica, i loro costi della manodopera, dagli elementi del fascicolo di cui dispone la Corte risulta tuttavia che il bando in parola specificava che, «[p]er quanto non espressamente previsto nel presente bando, nel capitolato e nel disciplinare di gara si applicano le norme del [codice dei contratti pubblici]»”.
Quindi un non iper-generico rinvio dinamico al Codice dei contratti rende proporzionata la sproporzione?
La pronuncia non è certamente convincente, e non prende una posizione netta sulla dicotomia formalismo/sostanzialismo; aderisce al formalismo: ma con un ma…
Pur suggerendo la compatibilità di un diniego al soccorso istruttorio in caso di omessa indicazione dei costi della manodopera, anche in presenza di un bando di gara silente sul punto, siamo certi che l’area di grigio tra ciò che bianco e ciò che è nero non garantirà la tanto auspicata tregua nell’infinito contenzioso sulla materia, poiché agevole è trovare appigli argomentativi sul deleterio “tuttavia”.
Ciò che è certo è che se il bando prevede espressamente l’onere di indicare separatamente i costi per la manodopera, l’esclusione è inevitabile. Ma a ben vedere si è scoperta l’acqua calda: questo era già infatti pacifico a partire dalle precedenti pronunce CGUE sez. VI, 2 giugno 2016, C-27/15 & sez. VI, 1 novembre 2016, C-140/16.
Speriamo, per il resto, che l’oracolo lussemburghese possa vincere la propria “confusa reticenza” nelle altre cause relative al medesimo oggetto che ad oggi ancora pendono sui suoi banchi, e che possa fornire una risposta ai quesiti sottopostigli caratterizzata da univocità. Il precetto non è un’opinione… E necessita di chiarezza assoluta, invero carente nella pronuncia in commento…