Art. 80, c. 5, lett. c) (illeciti professionali): nessuna incompatibilità con la disciplina comunitaria
“Si deve osservare che l’art. 80, comma 5, lett. c), consente alle stazioni appaltanti di escludere da una procedura di affidamento di contratti pubblici i concorrenti in presenza di “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”, con la precisazione che in tali ipotesi rientrano, tra l’altro, “significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata”, la quale alternativamente non sia stata contestata in giudizio dall’appaltatore o – per venire al caso che interessa nel presente giudizio – sia stata “confermata all’esito di un giudizio”.
Nel caso di specie, difetta appunto quest’ultimo presupposto, perché il giudizio civile contro l’atto di risoluzione adottato dalla stazione appaltante rimane tuttora impregiudicato, mentre il parallelo contenzioso amministrativo contro lo stesso atto, come evidenziato dall’ordinanza cautelare di questa Sezione 6 ottobre 2017, n. 4306, non ha nessun effetto, poiché nessun vincolo può derivare dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 747-2017, che si è limitata a dichiarare l’improcedibilità dell’appello e con esso, sia pure implicitamente, del ricorso di primo grado, per la sopravvenuta carenza di interesse derivante dalla mancata impugnazione della nuova aggiudicazione nelle more intervenuta.
La ricordata disposizione del nuovo codice dei contratti pubblici non è da ritenersi riproduttiva dell’art. 38, comma 1, lett. f), del codice ora abrogato (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) e, dunque, non consente alle stazioni appaltanti di valutare discrezionalmente ed in modo autonomo la risoluzione disposta da altra stazione appaltante (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27 aprile 2017, n. 1955).
L’elencazione dei gravi illeciti professionali contenuta nell’art. 80, comma 5, lett. c), non è tassativa, ma esemplificativa, come si evince dalla formula di apertura del periodo (“Tra questi rientrano…”) recante l’elenco dei casi rientranti in questa nozione (in tal senso si è del resto espresso questo Consiglio di Stato, nel parere del 3 novembre 2016, n. 2286, numero affare 1888 del 2016, reso sulle linee guida dell’ANAC recenti l’indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto d’appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’articolo 80, comma 5, lett. c), del codice).
Ma lo stesso ragionamento non può essere seguito nelle conseguenze finali che si pretende di trarre dalla natura esemplificativa delle ipotesi contemplate nell’elenco in questione; infatti, in base al criterio di interpretazione letterale della norma (ex art. 12 delle preleggi), si osserva che la disposizione in esame richiede espressamente ed esplicitamente che al provvedimento di risoluzione sia stata prestata acquiescenza o che lo stesso sia stato confermato in sede giurisdizionale.
Pertanto, la risoluzione rilevante ai fini del possesso dei requisiti di ordine generale ex art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50-2016 non può che derivare da una pronuncia di rigetto nel merito della relativa impugnazione divenuta inoppugnabile, come si evince dalla locuzione (ancorché atecnica) “all’esito di un giudizio”.
Né può porsi una questione di compatibilità comunitaria dell’art. 80, comma 5, lett. c), per contrasto con l’art. 57, par. 4, lett. c) e g), della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici, recepita con il nuovo codice dei contratti pubblici, poiché tali disposizioni sovranazionali prevedono quale causa di esclusione da procedure di affidamento la commissione di “gravi illeciti professionali” che siano stati dimostrati “con mezzi adeguati” dall’amministrazione aggiudicatrice (lett. c), o “significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di un precedente contratto” che hanno causato “la cessazione anticipata di tale contratto precedente, un risarcimento danni o altre sanzioni comparabili” (lett. g), senza mai richiedere “alcun accertamento definitivo della responsabilità dell’appaltatore” (così nell’appello).
Deve infatti evidenziarsi che la causa di esclusione su cui si controverte nel presente giudizio ha carattere facoltativo.
Ciò lo si evince dal citato art. 57, par. 4, della direttiva 2014/24/UE. Tale disposizione prevede infatti che le situazioni da esso elencate relative agli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici sono quelle in presenza delle quali le amministrazioni aggiudicatrici “possono escludere”, oppure possono essere richieste da”gli Stati membri”, in sede di recepimento della direttiva, “di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto” tali operatori. Quindi, la norma europea facoltizza gli Stati membri a prevedere quale causa di esclusione da procedure di affidamento di contratti pubblici, senza porre a carico degli stessi alcun vincolo.
A fortiori deve ritenersi pertanto che non vi siano vincoli quanto alla definizione normativa della causa di esclusione in questione a livello nazionale.
Al medesimo riguardo, non giova richiamare il considerando 101, laddove si fa riferimento alla possibilità di escludere dalla gara l’operatore economico in caso di “grave violazione dei doveri professionali”, dimostrata dall’Amministrazione “con qualsiasi mezzo idoneo”, “prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori”.
Detta previsione è infatti espressamente riferita ai motivi di esclusione “obbligatori”, ovvero a quelli previsti dall’art. 57 della direttiva, ai paragrafi 1 e 2, mentre nel caso di specie si verte nelle ipotesi contemplate dal paragrafo 4 della medesima disposizione.
Per essa vale dunque il rinvio a “qualsiasi mezzo idoneo”, che il legislatore nazionale, nell’esercizio della sua discrezionalità rispetto ad un ambito del diritto dei contratti pubblici non vincolato a livello europeo, ha ritenuto integrato solo in presenza di una decisione giurisdizionale definitiva, come avvenuto nel caso di specie con l’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016.
5. Pertanto, alla stregua di tutto quanto precede, nel caso di specie non può condividersi la tesi dell’omissione di informazioni dovute, per l’assorbente motivo che nessun onere di segnalazione poteva dirsi sussistente in capo a Cosmopol rispetto ad un episodio risolutivo che, in quanto ancora sub iudice e non avente dunque i connotati della definitività, per espressa previsione di legge non può costituire elemento idoneo a mettere in dubbio, nemmeno astrattamente, l’integrità o affidabilità dell’impresa concorrente”.