È possibile coprire d’ufficio le sottostime desunte nell’ambito della valutazione dell’anomalia dell’offerta attingendo dall’utile di esercizio?
Ecco la non pienamente condivisibile risposta del Tar Campania, Napoli, sez. VI, 09 ottobre 2018, n. 5841.
Se non è rispettato il costo della manodopera ok per l’esclusione, anche se residua utile. Altrimenti le sottostime sono certamente compensabili con l’utile, rilevandosi iperboliche le affermazioni secondo le quali da una siffatta operazione “emergerebbe da ciò una deliberata spericolatezza della formulazione originaria dell’offerta economica, tutta protesa verso sproporzionati profitti societari in danno dei lavoratori”…
“Non è ovviamente qui in discussione il principio giurisprudenziale (spesso ricordato dalla PA intimata e dalla controinteressata), secondo cui non sono a priori inammissibili modifiche delle giustificazioni ovvero giustificazioni sopravvenute, come pure eventuali compensazioni tra sottostime e sovrastime. Tale possibilità resta tuttavia condizionata al fatto che l’offerta risulti nel suo complesso equilibrata ed affidabile, fin dal momento dell’aggiudicazione.
Nel caso di specie preme subito evidenziare che le argomentazioni difensive del Comune si basano nel sostenere che tutte le criticità evidenziate dalla sentenza sul costo del lavoro sarebbero state ben considerate e rimediate attraverso la riduzione in danno dell’aggiudicataria di un cospicuo utile di impresa (addirittura da euro 47.750,60 ad euro 29.592,39).
Più in particolare le giustificazioni rese in data 23.3.2018 dal Raggruppamento, hanno ribadito le ragioni sottese all’offerta economica così come ex ante formulata (negando ad oltranza una reale ed effettiva sottostima del costo di manodopera, fatte salve solo piccole ininfluenti variazioni). Ma tali giustificazioni, come sopra anticipato, sono state in buona parte disattese dalla riconvocata commissione. Una volta emerso e spiegato il dissenso sui vari punti fondanti delle seconde giustificazioni, gli organi di gara –come si diceva poc’anzi- hanno però ritenuto di attuare d’ufficio (senza alcuna previa proposta agli atti, neanche subordinata, del RTI interessato) un salvataggio all’interno dell’offerta in questione, nel tentativo di normalizzare un dato che si era confermato patologico in tutta la sua evidenza (grave sottostima del costo della manodopera).
Con tale manovra, torna a ribadirsi come la Commissione abbia stralciato, di sua iniziativa, una rilevantissima quota destinata dal RTI agli utili d’impresa pari a quasi 18 mila euro, per sopperire ai pesanti deficit sulla voce dei costi del lavoro.
La decurtazione degli utili in tale misura, come scaturita dai predetti calcoli “compensativi”, è stata poi sbrigativamente valutata dalla stessa Commissione procedente come scevra da rischi di ricadute anomale sulla quota di guadagni così ridotta, e ciò in assenza di una qualsiasi analisi che dimostrasse in concreto la sufficienza della quota residua a giustificare l’impegno contrattuale (vi è solo un richiamo a pronunce del GA secondo cui potrebbe essere giustificabile anche un utile vicino allo zero, per vantaggi indiretti collegati allo svolgimento dell’appalto).
Dalla esposta ricostruzione appare pertanto evidente come le compensazioni fra sovrastime e sottostime, lungi dall’esser state confinate ad operazioni di mero assestamento prive di incidenza sugli equilibri originari nonché sulle caratteristiche fondanti dell’offerta, hanno invece determinato una grossolana alterazione dell’offerta stessa rispetto ai suoi connotati originari.
Ed invero, la scelta partecipativa del RTI aggiudicatario -a fronte di un’offerta tecnica impegnativa e di un’offerta economica allettante- era stata univocamente quella di ben salvaguardare un utile appetibile, purtroppo a scapito degli oneri sulla manodopera minimizzati all’estremo, allegando asseriti risparmi di spesa apertamente censurati (almeno in parte) proprio dalla commissione riconvocata. Nonostante ciò, si è già detto che, attraverso una iniziativa d’ufficio a dir poco irrituale, con la società ferma sulle sue (ormai disattese) posizioni giustificative, gli organi di gara hanno ritenuto di attingere dagli utili la quota da destinare alla copertura dei gravissimi –ed accertati- deficit di remunerazione della mano d’opera, senza neanche preoccuparsi in concreto delle pericolose ricadute di anomalia sull’offerta economica, così stravolta in ribasso, al di là di frasi apodittiche e di stile.
Peraltro, se anche la manovra “correttiva” fosse stata deliberata e spiegata direttamente dalla società interessata (e con tanto di giustificazione di non anomalia della quota residua di utili), l’offerta risultante da tale manovra sarebbe comunque apparsa ormai irreversibilmente novativa rispetto a quella originaria, senza che in contrario possano invocarsi principi giurisprudenziali tarati per diverse fattispecie, relative a modesti assestamenti compensativi mirati a meglio spiegare la redistribuzione razionale delle singoli voci, per evitare in sostanza che la procedura di verifica possa finalizzarsi in una sorta di caccia all’errore (senza peraltro con ciò incentivare una sorta di caccia al rimedio).
In questo senso trovano agevole accoglimento le puntuali doglianze di parte ricorrente, mirate a rilevare l’insanabile alterazione degli originari connotati dell’offerta aggiudicataria, a seguito delle illegittime concludenze di cui alla rinnovata procedura di anomalia.
Il segnalato modus operandi seguito nel caso specifico dagli Organi di gara ha poi ulteriormente aggravato tali profili di illegittimità, visto che l’offerta è stata di fatto modificata d’ufficio, “imponendo” al Raggruppamento (che –torna a ripetersi- nulla risulta dagli atti aver proposto né accettato in tal senso, a prescindere dal carattere adesivo delle memorie del patrono controinteressato) di depauperarsi gli utili per 18 mila euro, per rimediare alle gravi sottostime del costo del lavoro, e senza neanche acquisire dal Raggruppamento stesso una relazione tecnico-economica preordinata a documentare un sufficiente residuo profitto.
Fuori luogo appaiono poi gli altri strumentali richiami operati dalla commissione alle pronunce giurisdizionali che ammettono ribassi vicini allo zero; trattasi infatti di peculiari contesti (eventuali ricadute positive da pubblicità e curriculum) che la ditta interessata avrebbe dovuto ex ante documentare, allegando per tabulas una ponderata strategia societaria di autolimite; ne consegue pertanto l’inconfigurabilità logica prima ancora che giuridica a che tale importante e peculiare strategia possa essere invece intercettata ex post in via di comodo (per di più direttamente dagli organi di gara, mediante semplicistiche presunzioni), abbattendo in corsa l’originaria quota di utili, di contro pensata e dimensionata dal Raggruppamento aggiudicatario secondo ordinari criteri di fruttuosa remuneratività.
Sempre a tutto concedere –e sempre in disparte i decisivi rilievi di modifica in corsa dell’offerta- è solo il caso di aggiungere che quand’anche l’utile d’impresa fosse risultato ancora integro dopo il taglio di 18 mila euro (senza ricorrere cioè ad apodittiche a presunzioni di un residuo interesse “professionale” del RTI a contrarre in pareggio), emergerebbe da ciò una deliberata spericolatezza della formulazione originaria dell’offerta economica, tutta protesa verso sproporzionati profitti societari in danno dei lavoratori. Quanto sopra, è opportuno rammentarlo, in una fattispecie di appalto che la stessa amministrazione ritiene correttamente caratterizzata da alta intensità di manodopera.
Riassumendo quanto sin qui esposto, può pertanto affermarsi che la nuova aggiudicazione conferita al raggruppamento controinteressato manifesta prima facie la sua illegittimità per il rilevato contrasto tra la filiera istruttoria (così come ricostruita dopo la sentenza tar 1406/2018), e le finali concludenze dispositive. Quanto sopra con i riverberi di alterazione dell’offerta originaria sopra argomentati”.