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Disapplicare l’articolo 105 comma 2 (e comma 5)?

Riflessioni a voce alta sulla Sentenza della Corte di Giustizia 26 settembre 2019

La Sentenza Corte di Giustizia del 26 settembre 2019 ,che ha dichiarato come “osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi”, deve essere necessariamente letta nelle sue immediate ricadute operative.

Che, va detto subito, sono estremamente preoccupanti.

Infatti, poiché le  norme interne, se non conformi a quelle europee, devono essere disapplicate, è evidente come la dichiarazione di “non conformità” dell’articolo 105 comma 2  (e comma 5) del Codice pone immediatamente la questione sulla sua disapplicazione.

Disapplicazione ad opera del giudice, ma anche da parte della pubblica amministrazione.

Infatti, l’interpretazione del diritto comunitario, con efficacia vincolante per tutte le autorità (giurisdizionali o amministrative) degli Stati membri, anche ultra partes compete alla Corte di Giustizia Europea.

Pertanto:

“Poichè ai sensi dell’art. 164 del Trattato spetta alla Corte di giustizia assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del medesimo trattato, se ne deve dedurre che qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la Corte di Giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in definitiva, l’ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative”.

Ed in precedenza era stato affermato che “esigenze fondamentali di eguaglianza e di certezza giuridica postulano che le norme comunitarie – non qualificabili come fonte di diritto internazionale, nè di diritto straniero, nè di diritto interno dei singoli Stati – debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di recezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, si da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione uguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari” (v. Corte Cost. n. 183/73 richiamata da Corte Cost. n. 170/84).

E’ alla stregua dei principi appena ricordati che si attribuisce alle sentenze della Corte di Giustizia il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità. Tale efficacia va riconosciuta a tutte le sentenze della Corte di Giustizia, sia pregiudiziali ai sensi dell’art. 177 del Trattato (Corte Cost. n. 113/85), sia che siano emesse in sede contenziosa ai sensi dell’art. 169 dello stesso Trattato (Corte Cost. n. 389/89, come la precedente richiamate da Corte Cost. n. 168/91).

La declaratoria dell’inadempimento, da parte di uno Stato membro, degli obblighi comunitari ad esso imposti implica, sia per le autorità giudiziarie sia per quelle amministrative del medesimo Stato membro, il divieto assoluto di applicare il regime legale interno dichiarato incompatibile con la disciplina comunitaria (Corte di Giustizia delle Comunità Europee 19 gennaio 1993 causa C-101/91).[1]

E, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale , con la Sentenza  23-04-1985, n. 113[2]:

La conclusione ora enunciata discende dalla sistemazione che la sentenza n. 170 del 1984 ha dato ai rapporti tra diritto comunitario e legge nazionale. La normativa comunitaria – si è detto in quella pronunzia – entra e permane in vigore, nel nostro territorio, senza che i suoi effetti siano intaccati dalla legge ordinaria dello Stato; e ciò tutte le volte che essa soddisfa il requisito dell’immediata applicabilità. Questo principio, si è visto sopra, vale non soltanto per la disciplina prodotta dagli organi della CEE mediante regolamento, ma anche per le statuizioni risultanti, come nella specie, dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia.

Dunque le statuizioni interpretative della Corte di Giustizia delle Comunità europee hanno, al pari delle norme comunitarie direttamente applicabili, operatività immediata negli ordinamenti interni.

E se i principi enunciati nelle decisioni della Corte di Giustizia si inseriscono direttamente nell’ordinamento interno, con il valore di jus superveniens,[3] condizionando e determinando i limiti in cui quella norma conserva efficacia e deve essere applicata anche da parte del giudice nazionale (Vedasi anche Ordinanza  Corte Costituzionale  n. 255 del 1999), è evidente come si ponga con forza la necessità di un intervento legislativo sull’articolo 105.

Perché il rischio di un aumento di contenziosi, anche strumentali, in fase di gara, risulta evidente .

La “non conformità” del limite del 30%  di subappalto, infatti,  si abbatte su un assetto normativo consolidato  e, dunque, mette in discussione dalle fondamenta il sistema degli appalti , e non solo dal punto di vista “procedurale”, ma anche con riferimento alla qualificazione degli operatori .

Mi riferisco in particolare ai progetti di lavori pubblici ,per i quali continua ad essere in vigore il D.P.R. 207 /2010, ed in particolare alle previsioni dell’articolo 32 che prevede come  nel computo metrico estimativo del progetto definitivo siano indicate  la categorie prevalente, le scorporabili al di sopra del 10% dell’importo dei lavori oppure a 150.000,00 euro e subappaltabili a scelta del concorrente.

Sempre con riguardo al DPR 207/2010 l’art.53 comma 2 lett.f) punto 9 del DPR 207/2010 prevede che nel corso dell’attività di verifica si debba verificare che:

il computo metrico estimativo e lo schema di contratto individuano la categoria prevalente, le categorie scorporabili e subappaltabili a scelta dell’affidatario, le categorie con obbligo di qualificazione e le categorie di cui all’articolo 37, comma 11, del codice

Infine il Decreto ministeriale 10 novembre 2016, n. 248 – Regolamento recante individuazione delle opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica e dei requisiti di specializzazione richiesti per la loro esecuzione, ai sensi dell’articolo 89, comma 11, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50– che all’articolo 1 comma 2 prevede:

“Ai sensi dell’articolo 89, comma 11, del Codice il presente decreto individua, in particolare, le opere per le quali non è ammesso l’avvalimento, qualora il loro valore superi il dieci per cento dell’importo totale dei lavori e per le quali, ai sensi dell’articolo 105, comma 5 del Codice, l’eventuale subappalto non può superare il trenta per cento dell’importo delle opere e, non può essere, senza ragioni obiettive, suddiviso. Il limite di cui al presente comma non è computato ai fini del raggiungimento del limite di cui all’articolo 105, comma 2 del Codice”.

Alla luce della Sentenza della Corte di Giustizia, oggi, le norme che regolano il procedimento di approvazione di un’opera pubblica (in cui si intrecciano sia adempimenti finalizzati alla redazione di un progetto esecutivo, sia elementi tesi ad accertare la massima qualificazione dell’esecutore ), risultano come minimo da aggiornare , o forse addirittura da disapplicare perché non conformi alla Direttiva UE.

Ha ancora un senso infatti, alla luce della Sentenza della Corte di Giustizia, parlare di SIOS, categorie scorporabili, vincoli al subappalto?

Quale valore assume, oggi, il comma 1 dell’articolo 92 del DPR 207/2010  (ancora in vigore ) che prevede:

“Il concorrente singolo può partecipare alla gara qualora sia in possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi relativi alla categoria prevalente per l’importo totale dei lavori ovvero sia in possesso dei requisiti relativi alla categoria prevalente e alle categorie scorporabili per i singoli importi. I requisiti relativi alle categorie scorporabili non posseduti dall’impresa devono da questa essere posseduti con riferimento alla categoria prevalente”.

Dunque il Concorrente che ha la qualificazione per l’intero importo dell’appalto, a sua scelta, potrà subappaltare (alla luce della Sentenza della Corte di Giustizia UE ) tutte le categorie scorporabili per le quali non è qualificato  (oltre alle parti della Categoria prevalente che non intende eseguire direttamente ).

E’ questo lo scenario in cui siamo stati precipitati dalla Sentenza della Corte di Giustizia? Se è questo è bene che il legislatore ponga rimedio velocemente, perché sin dalla pubblicazione dei Bandi  (per non parlare della procedura di gara vera e propria) il rischio di contenziosi diventa altissimo.

Per non parlare poi della possibilità, concessa all’operatore di ricorrere alla qualificazione di altro soggetto, con il così detto subappalto “necessario” o “ qualificante”.

Se il subappalto  offre al concorrente la possibilità di integrare la propria qualificazione con quella di un altro operatore economico al fine della partecipazione alla gara e dell’esecuzione del contratto, alla luce della Sentenza della Corte di Giustizia,   quale senso dare al subappalto qualificante negli appalti di lavori, di servizi o di forniture ?.

Paradossalmente, se salta il limite massimo subappaltabile, il subappalto qualificante può diventare una comoda alternativa all’avvalimento o al RTI?

Il concorrente non qualificato per tutte le prestazioni (ad esempio per i lavori le categorie scorporabili a qualificazione obbligatoria / non obbligatoria/ SIOS), potrà infatti ricorrere alla qualificazione di altro soggetto, ossia il subappaltatore con subappalto “necessario” o “ qualificante”.

Analogamente ampio sarà l’impatto sugli appalti di servizi , nei quali alla richiesta di qualificazione nelle “prestazioni principali e secondarie”  potrà rispondersi anche con subappalto “qualificante”  in modo da comprovare la complessiva capacità tecnico professionale dell’operatore concorrente.

Dunque, poiché il subappalto qualificante  non è direttamente regolato da alcuna norma, sarà necessario che un intervento legislativo definisca bene il perimetro operativo di questo istituto.

Mi rendo conto del carattere disorganico di queste prime riflessioni: però bisogna provare a disegnare degli scenari .

Domani, per l’appalto di un lavoro (o di un servizio), si deve ancora indicare la percentuale massima di subappalto nel limite del 40% ( come da articolo 105 comma 2)?

Si indica e si attende il ricorso di qualche operatore penalizzato dall’applicazione di questa norma (sia in fase di pubblicazione del Bando  che di sua applicazione ) ricorso finalizzato a far dichiarare il Bando non conforme al Diritto UE?

Oppure, da domani, bisogna essere consapevoli che potrà essere necessario ( in particolare in fase di gara )  applicare alla lettera il Diritto dell’UE e disapplicare le norme contrastanti?

Sarà bene che il legislatore intervenga alla svelta.

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[1] Cass. civ. Sez. III, (ud. 10-02-2005) 02-03-2005, n. 4466

[2] Il principio è stato confermato dalla Sentenza Corte cost., 11-07-1989, n. 389, Corte cost., Ord., (ud. 07-03-1990) 16-03-1990, n. 132, Corte cost., 18-04-1991, n. 168, Corte cost., 16-06-1993, n. 285, da Corte cost., Ord., 14-03-2003, n. 62, Corte cost., Ord., (ud. 11-06-1999) 23-06-1999, n. 255

[3] Cons. Stato Sez. IV, Sent., (ud. 04-02-2014) 04-03-2014, n. 1020 :E’ ben noto al Collegio, che lo condivide, il consolidato principio secondo il quale “l’interpretazione del diritto comunitario adottata dalla Corte di giustizia ha efficacia “ultra partes”, sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino “ex novo” norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia “erga omnes” nell’ambito della Comunità (ex aliis Cass. civ. Sez. V, 11-12-2012, n. 22577) dal che si è fatto conseguire che (Cass. civ. Sez. lavoro, 21-12-2009, n. 26897)”il giudice nazionale deve disapplicare la norma dell’ordinamento interno, per incompatibilità con il diritto comunitario, sia nel caso in cui il conflitto insorga con una disciplina prodotta dagli organi della CEE mediante regolamento, sia nel caso in cui il contrasto sia determinato da regole generali dell’ordinamento comunitario, ricavate in sede di interpretazione dell’ordinamento stesso da parte della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nell’esercizio dei compiti ad essa attribuiti dagli artt. 169 e 177 del Trattato del 25 marzo 1957, reso esecutivo con L. 14 ottobre 1957, n. 1203. “.

Scritto da Roberto Donati

Laureato in scienze politiche, appassionato di diritto con esperienza ventennale nella pubblica amministrazione in qualità di responsabilità del settore gare ed appalti, ed attuale responsabile del servizio Affari Generali della Siena Parcheggi Spa (società in house del Comune di Siena).