Proseguendo nei ragionamenti (cfr. qui e qui) sulle ricadute operative della sentenza della Corte di Giustizia Europea in relazione ai limiti quantitativi posti al subappalto dalla disciplina nazionale, non vanno sottaciute le insidie contenute al comma 20 dell’articolo 105.
Come noto il Decreto Legislativo 19 aprile 2017, n. 56 ( il “correttivo”) ha introdotto all’articolo 105 un secondo periodo del comma 20 del seguente tenore, prefigurando l’associazione in partecipazione quale alternativa al subappalto:
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Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente articolo è consentita, in deroga all’articolo 48, comma 9, primo periodo, la costituzione dell’associazione in partecipazione quando l’associante non intende eseguire direttamente le prestazioni assunte in appalto.
L’associazione in partecipazione (art.2549 c.c. e seguenti) prevede che, a fronte di un apporto (che può essere di attività lavorativa ma anche di capitale), all’associato sia riconosciuta la partecipazione agli utili.
Era stata vietata dall’art 13 comma 5 (poi 5 bis) della Legge 109/1994, poi dall’art. 37, c. 9, D. Lgs. 163/2006, infine dall’art. 48, c. 9, D. Lgs. 50/2016 per evitare che l’associato (soggetto estraneo all’appaltatore) potesse condizionare l’attività dell’impresa grazie alla previsione dell’art.2552 del Codice Civile secondo cui all’associato possono essere riservate forme di controllo sull’impresa.
Insomma, un contratto da utilizzare “con le molle”.
Tanto è vero che in gara continua a non essere ammessa dall’articolo 48 comma 9 del Codice (è vietata l’associazione in partecipazione sia durante la procedura di gara sia successivamente all’aggiudicazione) ed in forza di tale divieto essa non offre al concorrente alcuna possibilità di integrare la propria qualificazione con quelle di un altro operatore [1] come invece accade con il “subappalto necessario” o “qualificante”.
Ma, come detto, dopo il “correttivo” in fase di esecuzione l’associazione in partecipazione è consentita dall’art. 105, comma 20, secondo il quale “Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente articolo è consentita, in deroga all’articolo 48, comma 9, primo periodo, la costituzione dell’associazione in partecipazione quando l’associante non intende eseguire direttamente le prestazioni assunte in appalto”.
Senza dilungarsi oltre su questo peculiare tipo contratto (per approfondimenti si rimanda a questa monografia sul tema https://www.maggiolieditore.it/associazione-in-partecipazione.html) va però sottolineato come il primo periodo dell’articolo citato (“ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente articolo”) implichi come anche per l’associazione in partecipazione valga (o forse meglio dire valeva) il limite del 40% dell’importo complessivo del contratto (prima dello sblocca-cantieri il 30%).
Per cui, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia, è ragionevole sostenere che anche per l’associazione in partecipazione il limite sia “saltato”. E dunque che un contratto a lungo ritenuto “delicato” entri a pieno titolo (e senza alcun limite quantitativo) nella contrattualistica pubblica, con una liberalizzazione di fatto dell’istituto.
In gara sarà sufficiente in tal guisa dichiarare l’intenzione di procedere con associazione in partecipazione nella fase esecutiva del contratto, ed il gioco è fatto.
Le criticità derivanti dall’applicazione dell’art. 105 sembrano dunque amplificate e non certo sopite dai recenti interventi normativi che, pare oggi indubitabile, non sono stati particolarmente efficaci.
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[1] Vedasi Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 22-02-2018) 19-04-2018, n. 2381