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Contratti di appalto in essere ai tempi del COVID 19. Quali scenari per le stazioni appaltanti?

Sospensioni, modifiche, risoluzioni dei contratti.

1.L’articolo 91 del D.L. 18/2020.

Merita una riflessione l’articolo 91 del D.L. 18/ 2020, con particolare riferimento al primo comma dello stesso:

All’articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: “6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218[1] e 1223[2] c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”.

La norma è da leggersi, in primo luogo, come supporto alle imprese che, in questa situazione drammatica possono evidentemente essere in difficoltà nell’adempiere alle prestazioni previste nei contratti.

Le “misure di contenimento” previste nel Decreto Legge 6/2020 e nei successivi DPCM, infatti, hanno determinato ( oltre alle restrizioni alla vita quotidiana delle persone) la chiusura di pezzi del tessuto commerciale e produttivo che, inevitabilmente, si ripercuote sull’intero  sistema economico.

Sebbene l’articolo 91 non ne faccia menzione, è dunque evidente come ci si trovi di fronte a “cause di forza maggiore”[3], di fronte alle quali anche le obbligazioni contrattuali risultano recessive.[4]

Esemplare in questo senso il Protocollo Condiviso di Regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri edili, che nell’ultima parte[5] indica una serie di casi in cui è da escludersi la responsabilità dell’impresa.

Ciò detto, va fatto doverosamente rilevare come l’articolo 91 del D.L. 18/2020 riguardi anche le stazioni appaltanti, che non sono immuni dagli effetti devastanti della pandemia.

E’ infatti assolutamente plausibile che, soprattutto gli Enti Locali ( ma non solo ), si trovino a dover rimettere in discussione i propri bilanci a causa della pesante contrazione delle Entrate, e che gli stessi si debbano a dover affrontare vere e proprie crisi di liquidità.

In scenari di questo tipo, evidentemente, anche i contratti di appalto in essere possono essere oggetto di una revisione/modifica, finalizzata ad un adeguamento alla mutata situazione della stazione appaltante.

Le ipotesi di modifica/revisione dei contratti di appalto pubblici possono essere così sinteticamente elencate:

La Sospensione ( Art.107 del Codice)

La Modifica di contratti durante il periodo di efficacia ( articolo 106 del Codice);

La risoluzione ( articolo 108 del Codice );

Il Recesso ( articolo 109 del Codice ).

Poiché però, come detto sopra, siamo in presenza di acclarate cause di “forza maggiore”, la riflessione successiva porta ad un’analisi su due fattispecie del Codice Civile , la “impossibilità sopravvenuta” e la “eccessiva onerosità sopravvenuta”, che potrebbero comunque risultare applicabili ai contratti in essere.

Mi riferisco in particolare agli appalti di forniture e servizi ( magari di durata pluriennale), anche se non sono da escludersi contraccolpi sul regolare andamento di lavori pubblici di una certa consistenza ( in particolare se finanziati con i proventi delle concessioni edilizie).

Occorre dunque, ai sensi dell’articolo 30 comma 8 del D.Lgs 50/2016 (“Per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile”), verificare le ricadute derivanti all’applicazione del Codice Civile alla fase esecutiva dell’appalto, avendo comunque ben presenti le disposizioni del Codice degli Appalti.

Comunque con una considerazione preliminare che ritengo opportuno e doveroso segnalare: la situazione “eccezionale” che stiamo vivendo potrebbe “ribaltare” qualsiasi orientamento giurisprudenziale si sia formato in tempi “normali” sulle norme che si vanno a citare. Per cui le cause di “forza maggiore” che stiamo tutti vivendo sulla nostra pelle potrebbero anche determinare “innovazioni” su fattispecie sino ad oggi sufficientemente definite.

2.Impossibilità sopravvenuta ed eccessiva onerosità sopravvenuta.

A) L’Impossibilità sopravvenuta.

L’art. 1672 del Codice Civile[6] ( da leggersi in coordinamento con gli articoli 1256[7], 1258[8], 1463[9] e 1464[10] del Codice Civile ) disciplina i casi di impossibilità di esecuzione dell’opera nei contratti di appalto. Esso stabilisce che il contratto si scioglie quando l’esecuzione è divenuta impossibile in conseguenza di una causa non imputabile ad alcuna delle parti. In tal caso il committente deve pagare parte di opera già eseguita, nei limiti in cui è per lui utile in proporzione del prezzo pattuito per l’opera intera.

Si tratta di una impossibilità sopravvenuta che deve essere assoluta ed oggettiva, come sancito da ampia giurisprudenza[11].

Per cui, tanto per tornare al contratto di appalto, la mancanza di liquidità del committente non può costituire condizione di impossibilità della prestazione[12]. L’impossibilità sopravvenuta che libera dall’obbligazione (se definitiva) o che esonera da responsabilità per il ritardo (se temporanea), deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto e alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, del pari obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto.[13]

Insomma, l’eventuale difficoltà finanziaria della stazione appaltante non può configurarsi quale causa di impossibilità sopravvenuta all’esecuzione del contratto.

D’altronde l’articolo 91 del D.L. 18/2020 non prevede l’impossibilità di rendere le reciproche prestazioni, ma soltanto una limitazione alle responsabilità del debitore.

Per cui anche si volesse considerare l’art. 1256, 2° comma del Codice Civile ( impossibilità temporanea )  devono valere le considerazioni fatte sopra sulla riconducibilità alla “assoluta ed oggettiva impossibilità”, e le difficoltà finanziarie del debitore.

B) L’eccessiva onerosità .

L’art. 1467[14] del Codice Civile prevede che, nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita,  quando la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458 prevedendo altresì che la parte contro la quale è domandata la risoluzione possa evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

Il concetto di eccessiva onerosità della prestazione non è però definito dal legislatore.

In riferimento al contratto di appalto, la Cassazione ha stabilito che le prestazioni convenute al momento della loro stipulazione sono immutabili, restando le obbligazioni delle parti insensibili al mutare del rispettivo valore. Quanto al contratto di appalto, con il quale l’appaltatore assume un’obbligazione di risultato, tale regola è resa specificamente manifesta, in via di principio, dall’art. 1655, a norma del quale l’appaltatore “assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio” il compimento dell’opera. Nel  contratto di appalto le  prestazioni sono valutate e definite dalle parti contraenti e la presenza di un rischio economico rientra pur sempre nell’alea normale del negozio [15].

Il contratto di appalto, dunque, non è un contratto aleatorio; il soggetto che partecipa ad una gara di appalto si assume un rischio che però non esorbita dalla normale alea contrattuale .[16]

Per cui il rimedio generale dell’art. 1467 è applicabile soltanto  se la sopravvenienza derivi da “avvenimenti straordinari ed imprevedibili” diversi dalle fattispecie indicate per il contratto di appalto[17], in particolare dall’art. 1664[18].

Va segnalato come, proprio per ridurre i rischi derivanti all’appaltatore da contratti di durata, il “vecchio” D.Lgs 163/2006 avesse previsto all’art.115[19] una clausola di adeguamento dei prezzi per i servizi e forniture ad esecuzione periodica. La norma non è però stata riproposta nel D.Lgs 50/2016, anche se l’articolo 106 del medesimo al comma 1 lettera a) ammette modifiche al contratto per clausole previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi.

E va ricordato come, sempre a tutela dell’appaltatore, l’articolo 133 del D.Lgs 163/2006 prevedesse ai commi 4, 5 e 6[20], un meccanismo che tenesse conto anche delle oscillazioni dei prezzi dei materiali, parzialmente riproposto all’articolo 106 comma 1[21] del D. Lgs 50/2016.

Quello che però interessa, come detto in premessa, è lo scenario “eccessivamente oneroso” che si potrebbe determinare per le stazioni appaltanti ( inteso come difficoltà ad onorare impegni già presi).

In tal senso è da rilevare come l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per potere determinare, ai sensi dell’art. 1467, la risoluzione del contratto richieda la sussistenza di due necessari requisiti: da un lato, un intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto, dall’altro, la riconducibilità della eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi straordinari ed imprevedibili, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale. Il carattere della straordinarietà è di natura oggettiva, qualificando un evento in base all’apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l’intensità, suscettibili di misurazioni (e quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di carattere statistico), mentre il carattere della imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza.[22]

Va però evidenziato come l’onerosità sopravvenuta non produca una “risoluzione automatica” del contratto.

Infatti “Eccettuati i casi di risoluzione di diritto del contratto (previsti dagli artt. 1454, 1456 e 1457 Cod. Civ.), nessuno dei quali ricorse nella specie in esame, in ogni altro caso la risoluzione del contratto per qualsiasi causa deve essere pronunziata dal giudice e la pronunzia ha carattere costitutivo. Di conseguenza in questi ulteriori casi la risoluzione non può costituire oggetto di eccezione, ma deve formare oggetto di una specifica domanda, eventualmente proposta in via riconvenzionale”.[23]

Per cui, in presenza delle condizioni di eccessiva onerosità, la parte tenuta all’adempimento può agire in giudizio per chiedere la risoluzione del contratto.

Ma questa conclusione non è quella cui sembra mirare l’articolo 91 del D.L. 18/2020, che  incide sul risarcimento del danno da mancato o ritardato pagamento ed eventualmente sugli interessi dovuti,  ma non esclude il dovere all’esecuzione della prestazione da parte dei contraenti.

Per cui, qualora le stazioni appaltanti ragionino in termini di impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità si proiettano inevitabilmente verso una conclusione, la risoluzione del contratto, che non sembra la migliore delle soluzioni.

3.L’Interesse a ricevere la prestazione.

Ferma restando una necessaria verifica sui contratti in essere, finalizzata ad analizzare le eventuali pattuizioni stabilite tra le parti nei casi di forza maggiore, si ritiene che sia fondamentale verificare l’interesse della stazione appaltante a ricevere la prestazione, e dunque a mantenere il contratto in essere.

Infatti “l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta inutilizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione (Cassazione civile, sez. III, 20/12/2007, n. 26959)” (per l’affermazione che gli elementi connotanti la causa concreta del contratto -la quale assume rilievo, oltre che come elemento di qualificazione, anche relativamente alla sorte del contratto, quale criterio di relativo adeguamento, con la conseguenza che, nell’economia funzionale complessiva del contratto l’impossibilità di utilizzazione della prestazione da parte del creditore per causa a lui non imputabile, pur se normativamente non specificamente prevista, è da considerarsi causa di estinzione dell’obbligazione, autonoma e distinta dalla sopravvenuta totale (ex art. 1463 c.c.) o parziale (ex art. 1464 c.c.) impossibilità di esecuzione della medesima, cfr. altresì Cass., 24/7/2007, n. 16315).[24]

Per cui, a meno che non si versi in casi limite ( ad esempio servizi “una tantum” finalizzati ad eventi ) in cui la stazione appaltante non ha più interesse a ricevere quella prestazione, è da presumersi che gli appalti in essere siano necessari o al funzionamento di questa o, come nel caso degli appalti di lavori, all’ampliamento/manutenzione del patrimonio pubblico.

Una eventuale risoluzione dei contratti di appalto, anche qualora legittima, determinerebbe infatti la necessità di stipula di nuovi contratti, con l’attivazione delle apposite procedure.

Pertanto, piuttosto che orientarsi sulla risoluzione dei contratti in essere, che potrebbe incidere anche sul corretto funzionamento dell’attività delle stazioni appaltanti ( oltre a determinare anche presumibili strascichi legali), potrebbe sembrare maggiormente ragionevole agire secondo le previsioni del Codice degli Appalti.

Anche in questo caso, però, analizzando, le varie fattispecie sopra elencate, le problematiche non mancano.

A) La Sospensione

Una prima risposta alle “cause di forza maggiore” può essere data dalla sospensione ( totale o parziale) dei contratti, secondo l’art. 107 del Codice ( che colloca questa fattispecie in una fonte primaria sostituendo gli articoli 158, 159 e 308 del DPR 207/2010) .

L’articolo 107 ( si applica anche ai contratti di servizi e forniture) prevede infatti al comma 1 :”In tutti i casi in cui ricorrano circostanze speciali che impediscono in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d’arte, e che non siano prevedibili al momento della stipulazione del contratto, il direttore dei lavori può disporre la sospensione dell’esecuzione del contratto”.

Il comma 2 prevede la sospensione “per ragioni di necessità o di pubblico interesse” tra cui spicca l’interruzione di finanziamenti per esigenze sopravvenute di finanza pubblica.

Il comma 3 prevede come la sospensione sia “disposta per il tempo strettamente necessario. Cessate le cause della sospensione, il RUP dispone la ripresa dell’esecuzione e indica il nuovo termine contrattuale”.

Il comma 4 è riferito all’insorgere di “cause imprevedibili o di forza maggiore, circostanze che impediscano parzialmente il regolare svolgimento dei lavori, l’esecutore è tenuto a proseguire le parti di lavoro eseguibili, mentre si provvede alla sospensione parziale dei lavori non eseguibili, dandone atto in apposito verbale”. In tal caso se la sospensione supera il quarto del tempo contrattuale complessivo il responsabile del procedimento dà avviso all’ANAC.

E’ evidente come le previsioni di cui ai commi 1 ,2 e 4 configurino cause  legittime, ed in tal senso va ricordato che la giurisprudenza ha ribadito come  la sospensione possa ritenersi legittima solo allorché sia disposta per motivi di pubblico interesse o per necessità (Cass. Civ., 21 giugno 2007, n. 14510), o sia giustificata da fatti obiettivi non imputabili alla Pubblica Amministrazione committente o da esigenze non previste né prevedibili con l’ordinaria diligenza .[25]

L’articolo 107 trova poi il suo dettaglio nel DM 07/03/2018, n. 49 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti Regolamento recante: «Approvazione delle linee guida sulle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell’esecuzione».

L’articolo 10 del DM, al comma 3, prevede in particolare che “ La sospensione parziale dei lavori determina, altresì, il differimento dei termini contrattuali pari ad un numero di giorni determinato dal prodotto dei giorni di sospensione per il rapporto tra ammontare dei lavori non eseguiti per effetto della sospensione parziale e l’importo totale dei lavori previsto nello stesso periodo secondo il cronoprogramma”.

L’articolo 23 del medesimo DM, da applicare ad appalti di forniture e servizi, sembra  indicare una specifica modalità di redazione del verbale di sospensione per le sole fattispecie del comma 1[26] dell’articolo 107 ( dunque per le sole “circostanze speciali”).

L’articolo 23 prevede comunque (al comma 2)  che i contratti devono indicare le modalità di risarcimento per sospensioni illegittime. Si ritiene alla luce di questa indicazione che anche per le fattispecie di cui ai commi 2 e 4 dell’articolo 107 siano applicabili le medesime modalità di redazione del verbale di sospensione ( non si capisce per quale motivo la perdita di finanziamenti dovrebbe esimere dall’essere indicato nel verbale di sospensione, così come una “causa di forza maggiore”).

Insomma, per situazioni di difficoltà delle stazioni appaltanti, la sospensione ( totale o parziale) del contratto, può costituire una opzione perseguibile, perché l’emergenza derivata dal COVID-19 legittima il differimento dei termini contrattuali.

Va comunque ricordato quanto previsto all’articolo 107 comma  2 del Codice:

Qualora la sospensione, o le sospensioni, durino per un periodo di tempo superiore ad un quarto della durata complessiva prevista per l’esecuzione dei lavori stessi, o comunque quando superino sei mesi complessivi, l’esecutore può chiedere la risoluzione del contratto senza indennità; se la stazione appaltante si oppone, l’esecutore ha diritto alla rifusione dei maggiori oneri derivanti dal prolungamento della sospensione oltre i termini suddetti. Nessun indennizzo è dovuto all’esecutore negli altri casi.

B) Le Modifiche ai contratti e la Risoluzione

L’articolo 106 del Codice disciplina, come detto, le modifiche dei contratti durante il periodo di efficacia.

E’ una articolo che, evidentemente, è costruito sulla base della necessità di evitare che modifiche successive determinino stravolgimenti ( tecnici ed economici ) dei progetti inizialmente posti a base di gara.

Ma nella logica di una stazione appaltante che si dovesse trovare a dover gestire un contratto nel quale essa stessa è in difficoltà a rispettare le proprie obbligazioni, esso rischia di creare più problemi che soluzioni.

A parte il comma 12 che legittima la stazione appaltante a diminuire le prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto ( oltre detto limite l’appaltatore  può far valere il diritto alla risoluzione del contratto), l’articolo 106 si colloca disciplina sempre prestazioni “ in aumento”, mai in riduzione.

Il Comma 12 dell’articolo 106, si colloca infatti nel solco degli articoli 161 e 162 ( quest’ultimo in casi di diminuzione) del DPR 207/2010[27] per quanto attiene ai lavori, mentre per quel che attiene forniture e servizi esso risulta essere sicuramente meno incisivo rispetto all’articolo 311 del DPR 207/2010.

L’art.161 comma 12 del DPR 207/2010, prevedeva che la stazione appaltante potesse disporre, nel corso dell’esecuzione dell’appalto, una variazione dei lavori fino alla concorrenza di un quinto dell’importo dell’appalto per le ipotesi disciplinate dall’art. 132, c. 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, e cioè:

a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari;

b) per cause impreviste e imprevedibili, o per l’intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità dell’opera o di sue parti, sempre che non alterino l’impostazione progettuale;

c) per la presenza di eventi inerenti alla natura ed alla specificità dei beni sui quali si interviene verificatisi in corso d’opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale;

d) per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, parzialmente o totalmente, la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione;

e) per difficoltà di esecuzione manifestatesi nel corso dell’esecuzione dell’opera derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore.

Mentre l’articolo 311 al comma 2) individuava i casi in cui potevano essere ammesse variazioni ai contratti, ossia:

a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari;

b) per cause impreviste e imprevedibili accertate dal responsabile del procedimento o per l’intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento in cui ha avuto inizio la procedura di selezione del contraente, che possono determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità delle prestazioni eseguite;

c) per la presenza di eventi inerenti alla natura e alla specificità dei beni o dei luoghi sui quali si interviene, verificatisi nel corso di esecuzione del contratto.

Il medesimo articolo 311 al comma 4 identificava comunque la possibilità di variare il contratto oltre il quinto d’obbligo, sia in aumento che in diminuzione:

4. Nei casi previsti al comma 2, la stazione appaltante può chiedere all’esecutore una variazione in aumento o in diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza di un quinto del prezzo complessivo previsto dal contratto che l’esecutore è tenuto ad eseguire, previa sottoscrizione di un atto di sottomissione, agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto originario senza diritto ad alcuna indennità ad eccezione del corrispettivo relativo alle nuove prestazioni. Nel caso in cui la variazioni superi tale limite, la stazione appaltante procede alla stipula di un atto aggiuntivo al contratto principale dopo aver acquisito il consenso dell’esecutore.

Insomma, almeno l’articolo 311 teneva conto degli orientamenti che ammettevano la possibilità di proseguire legittimamente anche oltre il “quinto d’obbligo”[28], legittimando la stazione appaltante ad operare ( per forniture e servizi ) anche oltre il suddetto limite.

Con l’articolo 106 comma 12 del nuovo Codice questa eventualità non viene presa in considerazione, e neppure l’articolo 22 del DM 49/2018 chiarisce, in quanto al comma 4 esso prevede:

4. Con riferimento alle variazioni entro il quinto dell’importo contrattuale di cui all’articolo 106, comma 12, del codice, l’esecutore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto ed è tenuto a eseguire le nuove prestazioni, previa sottoscrizione di un atto di sottomissione, agli stessi prezzi e condizioni del contratto originario, senza diritto ad alcuna indennità ad eccezione del corrispettivo relativo alle nuove prestazioni. Ai fini della determinazione del quinto, l’importo dell’appalto è formato dalla somma risultante dal contratto originario, aumentato dell’importo degli atti di sottomissione e degli atti aggiuntivi per varianti già intervenute, nonché dell’ammontare degli importi, diversi da quelli a titolo risarcitorio, eventualmente riconosciuti all’esecutore ai sensi degli articoli 205, 206 e 208 del codice.

Le altre previsioni dell’articolo 106 non risultano essere di particolare interesse per le stazioni appaltanti che necessitano di rivedere “in diminuzione” il contratto. E’ estremamente difficile che esse abbiano previsto nei documenti di gara “clausole chiare, precise e inequivocabili” di riduzione delle prestazioni in casi eccezionali.

Potrebbe risultare applicabile il punto c) del comma 1 che prevede modifiche:

c) ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni, fatto salvo quanto previsto per gli appalti nei settori ordinari dal comma 7:

1) la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all’oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d’opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti;

2) la modifica non altera la natura generale del contratto;

Ma, dopo aver letto il comma 7, si comprende che si verte in altra fattispecie.[29]

La lettera e) del comma 1 ammette modifiche purché esse non siano sostanziali ai sensi del comma 4.

L’indicazione sui casi in cui la modifica è da intendersi sostanziale, però, lascia pochi spazi. Infatti:

4. Una modifica di un contratto o di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia è considerata sostanziale ai sensi del comma 1, lettera e), quando altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti. In ogni caso, fatti salvi i commi 1 e 2, una modifica è considerata sostanziale se una o più delle seguenti condizioni sono soddisfatte:

a) la modifica introduce condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione;

b) la modifica cambia l’equilibrio economico del contratto o dell’accordo quadro a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale;

c) la modifica estende notevolmente l’ambito di applicazione del contratto;

d) se un nuovo contraente sostituisce quello cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore aveva inizialmente aggiudicato l’appalto in casi diversi da quelli previsti al comma 1, lettera d).

Rimanendo alla lettera a) del comma 4, qualora la stazione appaltante intendesse negoziare con l’appaltatore una modifica sostanziale del contratto con previsione di una massiccia riduzione delle prestazioni ( ad esempio una minore frequenza delle pulizie, una riduzione del monte ore della vigilanza) e corrispondente riduzione del corrispettivo ( anche oltre il 20%), è ragionevole sostenere che si apporterebbe una variante sostanziale al contratto. Perché il minor importo di contratto, se fosse stato inizialmente previsto a base di gara, avrebbe consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbe attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione ( ad esempio micro imprese).

Insomma, nei casi in cui c’è la necessità di rivedere urgentemente i rapporti contrattuali prevedendo anche modifiche sostanziali, i margini di manovra sono ridotti. Sembra di poter affermare come l’articolo 106 consenta una revisione nel limite (in diminuzione) del 20 per cento massimo.

Oltre questa soglia siamo in presenza di modifiche sostanziali che, ai sensi dell’articolo 108 comma 1 lettera a) portano dritte alla risoluzione del contratto.

Da valutare anche se interventi sui pagamenti ( con scansioni “ritardate” o di minor importo rispetto a quanto riportato in contratto) costituiscano una modifica sostanziale. Anche in questo caso è probabile che lo sia, in quanto la conoscenza “originaria” di queste condizioni avrebbe potuto determinare un’offerta diversa, magari di maggiore importo ( l’appaltatore riscuote con scadenze “lunghe” dei pagamenti, per cui chiede un corrispettivo più alto).

Per cui la strada della “risoluzione” potrebbe risultare obbligata.

Dopo aver fatti salve le sospensioni previste ai commi 1, 2 e 4, dell’articolo 107, l’art.108 si collega infatti direttamente all’articolo 106 prevedendo la risoluzione se una o più delle seguenti condizioni sono soddisfatte :

a) il contratto ha subito una modifica sostanziale che avrebbe richiesto una nuova procedura di appalto ai sensi dell’articolo 106;…

Come detto sopra, pertanto, le criticità di bilancio o le carenze di liquidità che dovessero verificarsi per le  stazioni appaltanti si potranno riflettere in maniera pesante anche sui contratti in essere, con scelte difficili, anche in presenza di collaborazione da parte degli appaltatori.

C) Il Recesso

L’art.109 prevede che la stazione appaltante possa recedere dal contratto in qualunque momento previo il pagamento dei lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo dell’importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite.

Il comma 2 dell’articolo 109 prevede che il decimo dell’importo delle opere non eseguite sia calcolato sulla differenza tra l’importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d’asta e l’ammontare netto dei lavori, servizi o forniture eseguiti.

A parere di chi scrive questa è una norma che può essere validamente utilizzata in tempi “normali”. Prevedere esborsi ulteriori di denaro in un periodo di estrema criticità come questo non appare ragionevole, a meno che non vi siano ragioni particolarmente stringenti ( ad esempio si prevede la reinternalizzazione di un servizio e dunque c’è l’interesse a chiudere il più velocemente possibile i rapporti con l’appaltatore).

4.Conclusioni

Alla luce di questo esame credo che, qualora le stazioni appaltanti necessitino di modificare rapidamente i contratti in essere per far fronte alle criticità sopravvenute, si tratta in primo luogo di verificare se vi siano prestazioni  che possano essere sospese.

E’ altresì ammissibile prevedere una riduzione del corrispettivo nel limite massimo del venti per cento.

Oltre queste due opzioni, purtroppo, mi pare sia da affermare che ci sia soltanto la risoluzione del contratto.

Siena,5 aprile 2020

Roberto Donati

 

[1]                      Art. 1218 del Codice Civile . Responsabilità del debitore . Il debitore che non esegue esattamente la prestazione [c.c. 1382] dovuta [c.c. 1453] è tenuto al risarcimento del danno [c.c. 1192, 1197, 1223], se non prova [c.c. 1673, 1681, 1784, 1787, 1805, 2697] che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile [c.c. 1176, 1221, 1223, 1229, 1256, 1257, 1337, 1557, 1588, 1673, 1681, 1693, 1821, 2037, 2175]

[2]                      Art. 1223 del Codice Civile. Risarcimento del danno. Il risarcimento del danno per l’inadempimento [c.c. 1480, 1483] o per il ritardo [c.c. 1218] deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno [c.c. 1518], in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta [c.c. 1382, 1385, 1453, 1494, 1515, 1516, 1526, 1662, 1696, 1905, 2057, 2058, 2059].

[3]              Cons. Stato Sez. V, 18/10/2018, n. 5958-La causa di forza maggiore consiste, poi, in un evento che non può evitarsi neanche con la maggiore diligenza possibile (cfr. Cass.,. III, 1 febbraio 2018, n. 2480; 31 ottobre 2017, n. 25837).

Secondo  Cass. civ. Sez. lavoro, Sent. 26-06-2009, n. 15073 la forza maggiore si traduce in evento che oggettivamente e in modo assoluto impedisca la possibilità della relativa prestazione.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 16-07-2014, n. 16276  questa Corte ha chiarito che, ai fini del riconoscimento di una causa di forza maggiore, in presenza della quale resta escluso il diritto dell’appaltatore a qualsiasi compenso o indennizzo, non è di per sè sufficiente che l’Amministrazione committente si limiti ad allegare, invocandone la forza cogente, il mero fatto obiettivo dell’intervento di un provvedimento emesso da un’altra Autorità che abbia impedito la prosecuzione dei lavori, ma occorre che essa dimostri anche la propria assenza di colpa in riferimento alla determinazione dell’evento, che ha reso impossibile l’adempimento dell’obbligo, posto a suo carico, di assicurare all’appaltatore la possibilità di realizzare l’opera affidatagli, ovvero provi la non imputabilità delle relative cause, sulla base dell’imprevedibilità, inevitabilità e non superabilità delle stesse, alla stregua dello sforzo dovuto secondo l’ordinaria diligenza (cfr. Cass., Sez. I, 20 agosto 2003, n. 12235; 25 febbraio 1971, n. 491).  

[4]              Sugli effetti di emergenze “sanitarie” in riferimento agli appalti ( peraltro di impatto neppure lontanamente paragonabile rispetto alla tragedia dei giorni nostri) va ricordata Cons. Stato Sez. III, 01/03/1972, n. 287 :Ai fini della disapplicazione della penale per ritardo nella consegna di una fornitura, può tenersi conto di un’epidemia influenzale che, se anche abbia interessato solo una percentuale limitata delle maestranze, si sia protratta per un considerevole periodo di tempo, sì da costituire un ragionevole impedimento alla normale produzione.

[5]              Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha concordato con Anas S.p.A., RFI, ANCE, Feneal Uil, Filca – CISL e Fillea CGIL  IL “PROTOCOLLO CONDIVISO DI REGOLAMENTAZIONE PER IL CONTENIMENTO DELLA DIFFUSIONE DEL COVID – 19 NEI CANTIERI EDILI” del 19 marzo 2020. Si riporta l’ultima parte del Protocollo.

TIPIZZAZIONE, RELATIVAMENTE ALLE ATTIVITA’ DI CANTIERE, DELLE IPOTESI DI ESCLUSIONE DELLA RESPONSABILITÀ DEL DEBITORE, ANCHE RELATIVAMENTE ALL’APPLICAZIONE DI EVENTUALI DECADENZE O PENALI CONNESSE A RITARDATI O OMESSI ADEMPIMENTI

Le ipotesi che seguono, costituiscono una tipizzazione pattizia, relativamente alle attività di cantiere, della disposizione, di carattere generale, contenuta nell’articolo 91 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, a tenore della quale il rispetto delle misure di contenimento adottate per contrastare l’epidemia di COVID-19 è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.

1) la lavorazione da eseguire in cantiere impone di lavorare a distanza interpersonale minore di un metro, non sono possibili altre soluzioni organizzative e non sono disponibili, in numero sufficiente, mascherine e altri dispositivi di protezione individuale (guanti, occhiali, tute,cuffie, ecc..) conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie (risulta documentato l’avvenuto ordine del materiale di protezione individuale e la sua mancata consegna nei termini): conseguente sospensione delle lavorazioni;

2) l’accesso agli spazi comuni, per esempio le mense, non può essere contingentato, con la previsione di una ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta all’interno ditali spazi e con il mantenimento della distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano; non è possibile assicurare il servizio di mensa in altro modo per assenza, nelle adiacenze del cantiere, di esercizi commerciali, in cui consumare il pasto, non è possibile ricorrere ad un pasto caldo anche al sacco, da consumarsi mantenendo le specifiche distanze: conseguente sospensione delle lavorazioni;

3) caso di un lavoratore che si accerti affetto da COVID-19; necessità di porre in quarantena tutti i lavoratori che siano venuti a contatto con il collega contagiato; non è possibile la riorganizzazione del cantiere e del cronoprogramma delle lavorazioni: conseguente sospensione delle lavorazioni;

4) laddove vi sia il pernotto degli operai ed il dormitorio non abbia le caratteristiche minime di  sicurezza richieste e/o non siano possibili altre soluzioni organizzative, per mancanza di strutture ricettive disponibili: conseguente sospensione delle lavorazioni.

5) indisponibilità di approvvigionamento di materiali, mezzi, attrezzature e maestranze funzionali alle specifiche attività del cantiere: conseguente sospensione delle lavorazioni . La ricorrenza delle predette ipotesi deve essere attestata dal coordinatore per la sicurezza nell’esecuzione dei lavori che ha redatto l’integrazione del Piano di sicurezza e di coordinamento.

N.B. si evidenzia che la tipizzazione delle ipotesi deve intendersi come meramente esemplificativa e non esaustiva.

[6] Art.1672 del Codice Civile. Impossibilità di esecuzione dell’opera. Se il contratto si scioglie perché l’esecuzione dell’opera è divenuta impossibile in conseguenza di una causa non imputabile ad alcuna delle parti, il committente deve pagare la parte dell’opera già compiuta, nei limiti in cui è per lui utile, in proporzione del prezzo pattuito per l’opera intera.

[7] Art.1256 del Codice Civile. Impossibilità definitiva e impossibilità temporanea. [1] L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. [2] Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.

 

[8] Art.1258 del Codice Civile. Impossibilità parziale. [1] Se la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile.[2] La stessa disposizione si applica quando, essendo dovuta una cosa determinata, questa ha subìto un deterioramento, o quando residua alcunché dal perimento totale della cosa.

[9] Art.1463 del Codice Civile. Impossibilità totale. Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito.

[10] Art.1464 del Codice Civile. Impossibilità parziale. Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.

[11]Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 29-05-2014) 02-10-2014, n. 20811. In tema di impossibilità sopravvenuta, questa Corte ha infatti affermato il principio, puntualmente richiamato dalla sentenza impugnata, secondo cui la liberazione del debitore, ai sensi dell’art. 1256 c.c., presuppone, oltre al sopraggiungere di un oggettivo impedimento all’esecuzione della prestazione, anche la non imputabilità soggettiva dell’evento che lo ha determinato, da valutarsi anche in relazione agli obblighi gravanti sul debitore, il quale non può dunque invocare a suo favore un ordine o un divieto dell’autorità amministrativa che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto dell’assunzione dell’obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio dell’ordinaria diligenza, sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità (cfr. Cass., Sez. 2, 30 aprile 2012, n. 6594; Cass., Sez. 3, 8 novembre 2002, n. 15712; Cass., Sez. 1, 23 febbraio 2000, n. 2059; 28 novembre 1998, n. 12093).

Cass. civ. Sez. III, 05-08-2002, n. 11717. Peraltro, perché l’impossibilità della prestazione costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, non basta eccepire che la prestazione non possa eseguirsi per fatto del terzo, ma occorre dimostrare la propria assenza di colpa, con l’uso della diligenza spiegata per rimuovere l’ostacolo frapposto da altri all’esatto adempimento.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 28-04-2009) 26-06-2009, n. 15073 .Infine, è infondato il decimo motivo di ricorso, l’esonero dall’obbligo di assumere potendo derivare unicamente dal sopravvenire di un evento che oggettivamente e in modo assoluto impedisca la possibilità della relativa prestazione (quali la cessazione dell’attività aziendale conseguente alla disgregazione del relativo patrimonio oppure la perdita della disponibilità della struttura aziendale: cfr. Cass. 26 luglio 2002 n. 11121), esclusa viceversa la rilevanza di mere difficoltà finanziarie (Cass. 20 gennaio 2009 n. 1399) o di difficoltà produttive e anche in conseguenza di crisi aziendali regolarmente accertate (Cass. 13 luglio 2000 n. 9307).

Cass. civ. Sez. III, (ud. 07-10-2004) 20-12-2004, n. 23618 ….E’ pacifico il principio secondo cui, per il combinato disposto degli art. 1256 e 1463 cod. civ., l’obbligazione del soggetto, la cui prestazione è divenuta per causa a lui non imputabile impossibile, costituisce causa di estinzione dell’obbligazione, sicchè colui che non può più rendere la prestazione divenuta, intanto, definitivamente impossibile, non può chiedere la relativa controprestazione nè può agire con l’azione di risoluzione allegando l’inadempimento della controparte (ex plurimis:Cass., n. 17464/2003; Cass., n. 16375/2002; Cass., n. 11121/2002;Cass., n. 1037/99).

Cass. civ., 13/01/1959, n. 65. Lo scioglimento del contratto di appalto nel quale sia stato motivo determinante la persona dell’appaltatore può avvenire non solo nel caso di morte di quest’ultimo, espressamente previsto dall’art. 1674 c.c., ma anche nel caso di malattia dell’appaltatore, applicandosi per tale ipotesi la regola generale (artt. 1218 e 1256 c.c.) secondo la quale, quando l’obbligazione consistente in un fare infungibile (contratto intuitu personae) non possa essere adempiuta per sopraggiunta incapacità psichica o fisica di colui che avrebbe dovuto eseguirla, il contratto è soggetto a risoluzione sia su domanda di quest’ultimo che su domanda della controparte.

[12] Cass. civ. Sez. II, 15/11/2013, n. 25777.  Giova rammentare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’impossibilità che, ai sensi dell’art. 1256 c.c., estingue l’obbligazione, è da intendere in senso assoluto ed obiettivo e non si identifica, pertanto, con una semplice difficoltà di adempiere (cfr. Cass. 7-2-1979 n. 845), e cioè con una qualsiasi causa che renda più oneroso l’adempimento (Cass. 14-4-1975 n. 1409), ma consiste nella sopravvenienza di una causa, non imputabile al debitore, che impedisce definitivamente l’adempimento; il che, alla stregua del principio secondo cui genus nunquam perit, può verificarsi solo quando la prestazione abbia per oggetto un fatto o una cosa determinata o di genere limitato, e non già una somma di denaro (Cass. 16-3-1987 n. 2691; Cass. 17-6-1980 n. 3844; Cass. 15-7- 1968 n. 2555; nello stesso senso Cass. 30-4-2012 n. 6594).

Cass. civ. Sez. lavoro, (ud. 12-11-2003) 20-05-2004, n. 9645. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, particolarmente in materia di obbligazioni pecuniarie, l’impossibilità della prestazione deve consistere, ai fini dell’esonero da responsabilità del debitore, non in una mera difficoltà, ma in un impedimento obiettivo ed assoluto, tale da non poter essere rimosso, con riferimento alla prestazione in sé e per sé considerata, e deve attenere alla prestazione contrattuale ed operare nell’ambito del contratto, sicché essa non può dipendere da circostanze inerenti ad un rapporto diverso (rispetto al rapporto di lavoro di cui si tratta): nel caso di specie, la circostanza che la pretesa impossibilità di adempiere dell’Inaip sarebbe dipesa dalla mancata erogazione dei mezzi da parte della Regione, pone In evidenza che non si trattava di impossibilità assoluta ed obiettiva delle prestazione in quanto essa è prospettata come conseguente al comportamento di un soggetto terzo rispetto al rapporto di lavoro .

[13]Cass. civ. Sez. lavoro, 11-06-1990, n. 5653. La Corte rileva che per impossibilità sopravvenuta della prestazione rilevante ex art. 1463 c.c. deve intendersi non una mera difficoltà, ma un impedimento obiettivo ed assoluto, tale da non poter essere rimosso, con riferimento alla prestazione in sé e per sé considerata; l’impossibilità deve essere inerente alla prestazione contrattuale ed operante nell’ambito del contratto.

[14] Art.1467 del Codice Civile. Contratto con prestazioni corrispettive.  [1] Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458. [2] La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. [3] La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

[15] Cass. civ., 06/06/1977, n. 2326– La clausola con la quale si escluda, in deroga all’art. 1664 c.c., il diritto dell’appaltatore a ulteriore compenso per le difficoltà impreviste incontrate nell’esecuzione dell’opera (cosiddetta appalto à forfait) non comporta alcuna alterazione della struttura ovvero della funzione dell’appalto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio, ma solo un ulteriore allargamento del rischio, senza che questo, pur così ulteriormente allargato, esorbiti dall’alea normale di questo tipo contrattuale.

[16] CORTE DI CASSAZIONE Sez. I Civile, 18/02/2008, Sentenza n. 3932 -Simmetricamente, la corte anconetana – richiamando, questa volta espressamente, precedenti di questa Corte (sent. n.7862/1996, ma vedi più estesamente Cass. 11469/1996, della cui motivazione si è ampiamente avvalsa la sentenza, nonché Cass. n. 13734/2003) – ha osservato come la dichiarazione (implicita) dell’impresa di aver esaminato la situazione dei luoghi e di averne valutato i riflessi sull’esecuzione dell’opera, si inserisce nell’ambito delle disposizioni introdotte dall’art. 1 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, del quale ha riprodotto sostanzialmente il contenuto mediante una specifica clausola contrattuale; tale dichiarazione, lungi dal costituire una clausola di stile o dall’avere la sola funzione di far riconoscere rimunerativi i prezzi dell’appalto, si traduceva in un attestato di presa conoscenza (tra l’altro) delle condizioni locali e di tutte le circostanze che avrebbero potuto influire sull’esecuzione dell’opera; essa, quindi, comportava un preciso dovere cognitivo a carico dei partecipanti alle gare per gli appalti, dovere cui era correlata un’altrettanto precisa responsabilità. Del resto, la clausola di assunzione, da parte dell’appaltatore, del rischio geologico, non comporta alterazione della struttura e della funzione dell’appalto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio, ma solo un allargamento del rischio, senza però che questo, pur così ingrandito, esorbiti dalla normale alea di tale tipo contrattuale (cfr. Cass. n.1364/1979). L’assunto è, come detto, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il citato art. 1 – a tenore del quale “per essere ammessi a partecipare alla gara, gli imprenditori devono presentare una dichiarazione con la quale essi attestino di essersi recati sul luogo di aver preso conoscenza delle condizioni locali, ed eventualmente delle cave e dei campioni, nonché di tutte le circostanze generali e particolari che possano aver influito sulla determinazione dei prezzi e delle condizioni contrattuali e che possano influire sull’esecuzione dell’opera…” – è inteso ad evitare contrasti su situazioni, incidenti sull’esecuzione dell’opera, delle quali l’appaltatore potesse rendersi conto in base alla mera ispezione dei luoghi. Anche le condizioni inserite negli appalti conferiti con licitazione privata impongono all’appaltatore, quale condizione di ammissione alla gara, di dichiarare di aver preso conoscenza delle condizioni locali. Ora se è ben vero che la norma si riferisce alla situazione apparente e non anche a quella occulta, deve ritenersi che anche quest’ultima costituisca oggetto di conoscenza allorché la sua individualità emerga da detta ispezione. Peraltro, nella specie neppure la ricorrente deduce che la presenza di difficoltà geologiche fosse assolutamente imprevedibile, mettendo in rilievo preminentemente la individuazione del contraente su cui incombeva l’obbligo di rilevarle. A questa stregua deve quanto meno presumersi che l’appaltatore, in base all’obbligo di cui sopra, si sia reso conto della peculiare natura del terreno e, conseguentemente, partecipando alla gara, abbia accettato il rischio della loro incidenza sulla esecuzione dell’opera (vedi Cass. n.5820/1996).

[17] Cass. civ. Sez. I, 23-11-1999, n. 12989. Tuttavia il legislatore, all’art. 1467, limitatamente ai contratti a prestazioni corrispettive, ad esecuzione continuata, o periodica o differita, ha temperato tale regola generale introducendo il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità ove “la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili”, ma con espressa statuizione che “la risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto”. L’art. 1664, ponendosi come norma speciale rispetto all’art. 1467, prevede e disciplina, rispettivamente al primo e al secondo comma, due distinte ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta in materia di contratto di appalto – ritenute tali da incidere sul sinallagma contrattuale alterandolo oltre i limiti connaturali all’alea normale del contratto – riguardo alle quali il legislatore, in relazione alle peculiarità di tale tipo di contratto, ha sostituito la risoluzione con rimedi diversi, costituiti nell’ipotesi prevista dal primo comma dalla revisione dei prezzi, ed in quella prevista dal secondo comma da un equo compenso. La prima ipotesi, regolata dal primo comma dell’articolo, riguarda il caso in cui “per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto”. In tal caso sia l’appaltatore, sia il committente, possono chiedere una revisione del prezzo per la differenza che eccede il decimo. La seconda ipotesi, regolata dal secondo comma dell’articolo, riguarda il caso in cui “nel corso dell’opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore”: cause che non possono dirsi “sopravvenute” dal punto di vista obbiettivo, ma lo sono rispetto alla formazione del sinallagma contrattuale in quanto “non previste dalle parti”. In dottrina e in giurisprudenza è controverso se in tale seconda ipotesi l’equo compenso possa essere richiesto per il solo fatto che le difficoltà di esecuzione dell’opera non siano “previste in contratto”, come recita la lettera dell’articolo (alla quale si è sostanzialmente richiamata Cass. 10 luglio 1984, n. 4049), ovvero se a tale requisito debba aggiungersi quello della loro imprevedibilità.  Questo collegio ritiene esatta tale ultima interpretazione, dovendo il secondo comma dell’art. 1664 essere interpretato in conformità con il principio generale – espressamente enunciato sia nell’art. 1467, comma 2, sia nello stesso art. 1664, comma 1, cod. civ. – secondo il quale ciascuna parte, nei contratti a prestazioni corrispettive, ancorché continuate o differite, assume su di sé il rischio degli eventi che alterino il valore economico delle rispettive prestazioni entro limiti rientranti nell’alea normale del contratto, che ciascun contraente deve tenere presente al momento della sua conclusione, e nell’ambito della quale rientrano, nel contratto di appalto – in cui l’appaltatore si obbliga al compimento dell’opera con gestione a proprio rischio – le difficoltà di natura geologica che non rivestano il carattere dell’imprevedibilità, da valutarsi sulla base della diligenza richiesta dall’attività esercitata.  L’interpretazione della norma infatti, secondo questo collegio, non può prescindere dalla considerazione che i rimedi apprestati dall’art. 1664, come quello previsto dall’art. 1467 – in conformità della loro ratio – sono correlati al superamento dell’alea normale del contratto, e quindi alla imprevedibilità, nel caso specifico, degli eventi ivi specificati, sulla base della diligenza media richiesta in relazione all’attività esercitata, essendo solo tale caratteristica dell’evento idonea ad alterare l’alea normale, rispetto alla quale gli eventi prevedibili vanno considerati già valutati al momento della formazione del sinallagma contrattuale, e quindi inidonei ad alterarlo.  In tale ottica, il riferimento del secondo comma dell’art. 1664 alle difficoltà di esecuzione derivanti dalle cause ivi indicate, “non previste dalle parti”, non implica che presupposto sufficiente per poter richiedere l’equo compenso sia tale mancata previsione, essendo invece necessaria la imprevedibilità di tali difficoltà sulla base della diligenza media richiesta dall’attività esercitata, accompagnata dalla loro mancata previsione in concreto. Infatti, ove tale previsione vi sia stata in concreto, o dette difficoltà erano prevedibili nel caso di specie con la normale diligenza, deve ritenersi che di esse si sia tenuto conto nella formazione del sinallagma, con la conseguenza che il loro insorgere rientra nell’alea normale del contratto, e la fattispecie concreta non rientra in quella prevista dalla norma, cosicché, mancano i presupposti per il sorgere del diritto all’equo compenso.

Cass. civ. Sez. I, 03/11/1994, n. 9060. L’art. 1664 c.c. costituisce la particolare applicazione al contratto di appalto (che, pur essendo un contratto non aleatorio, comporta particolari tipi di rischio espressamente regolamentari) del principio contenuto nell’art. 1467 c.c.; norma quest’ultima, che può ritenersi applicabile ad un contratto di appalto solo nell’ipotesi in cui l’onerosità sopravvenuta sia da attribuire a cause diverse da quelle previste nell’art. 1664, dovendo altrimenti la norma speciale prevalere sulla norma generale, in quanto disciplina specifica di un contratto commutativo con caratteristiche particolari.

[18] Art.1664 del Codice Civile. Onerosità o difficoltà dell’esecuzione. [1] Qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo. [2] Se nel corso dell’opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore, questi ha diritto a un equo compenso.

[19] Art. 115.  Adeguamenti dei prezzi (art. 6, comma 4, legge n. 537/1993) [1.  Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5. ].

Secondo Cons. Stato Sez. VI, 28/05/2019, n. 3478 L’art. 115 del D.Lgs. n. 163/2006, il quale prevede che tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbano recare una clausola di revisione periodica del prezzo, è una norma imperativa che si sostituisce di diritto ad eventuali pattuizioni contrarie o mancanti nei contratti pubblici di appalti di servizi e forniture ad esecuzione periodica o continuativa.

[20] Art.133 D. Lgs 163/2006

  1. In deroga a quanto previsto dal comma 2, qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10 per cento rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell’anno di presentazione dell’offerta con il decreto di cui al comma 6, si fa luogo a compensazioni, in aumento o in diminuzione, per la metà della percentuale eccedente il 10 per cento e nel limite delle risorse di cui al comma 7.
  2. La compensazione è determinata applicando la metà della percentuale di variazione che eccede il 10 per cento al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell’anno solare precedente al decreto di cui al comma 6 nelle quantità accertate dal direttore dei lavori.
  3. Il Ministero delle infrastrutture, entro il 31 marzo di ogni anno, rileva con proprio decreto le variazioni percentuali annuali dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi

[21] Articolo 106 c.1.Per i contratti relativi ai lavori, le variazioni di prezzo in aumento o in diminuzione possono essere valutate, sulla base dei prezzari di cui all’articolo 23, comma 7, solo per l’eccedenza rispetto al dieci per cento rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà. Per i contratti relativi a servizi o forniture stipulati dai soggetti aggregatori restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

Articolo 1, comma 511 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 . A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, anche con riferimento ai contratti in corso a tale data, nei contratti pubblici relativi a servizi e forniture ad esecuzione continuata o periodica stipulati da un soggetto aggregatore di cui all’articolo 9 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, per l’adesione dei singoli soggetti contraenti, in cui la clausola di revisione e adeguamento dei prezzi sia collegata o indicizzata al valore di beni indifferenziati, qualora si sia verificata una variazione nel valore dei predetti beni, che abbia determinato un aumento o una diminuzione del prezzo complessivo in misura non inferiore al 10 per cento e tale da alterare significativamente l’originario equilibrio contrattuale, come accertato dall’autorità indipendente preposta alla regolazione del settore relativo allo specifico contratto ovvero, in mancanza, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’appaltatore o il soggetto aggregatore hanno facoltà di richiedere, con decorrenza dalla data dell’istanza presentata ai sensi del presente comma, una riconduzione ad equità o una revisione del prezzo medesimo. In caso di raggiungimento dell’accordo, i soggetti contraenti possono, nei trenta giorni successivi a tale accordo, esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 1373 del codice civile. Nel caso di mancato raggiungimento dell’accordo le parti possono consensualmente risolvere il contratto senza che sia dovuto alcun indennizzo come conseguenza della risoluzione del contratto, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1467 del codice civile. Le parti possono chiedere all’autorità che provvede all’accertamento di cui al presente comma di fornire, entro trenta giorni dalla richiesta, le indicazioni utili per il ripristino dell’equilibrio contrattuale ovvero, in caso di mancato accordo, per la definizione di modalità attuative della risoluzione contrattuale finalizzate a evitare disservizi.

[22] Cass. civ. Sez. III, 19/10/2006, n. 22396.

[23] Cass. civ. Sez. III, (ud. 23-06-2004) 26-10-2004, n. 20744.

[24] Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 19-06-2018) 29-03-2019, n. 8766

[25] Vedasi anche Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 05-04-2018) 14-06-2018, n. 15700. Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la sospensione dei lavori, che non è consentita in nessun caso all’appaltatore (Cass. n. 9794 del 1994; n. 9246 del 2012), può essere disposta dall’Amministrazione nelle ipotesi previste dal D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30 (ed analogamente dal D.P.R. n. 554 del 1999, art. 133; D.M. n. 145 del 2000, art. 24 e del D.P.R. n. 207 del 2010, art. 159), in concorrenza di “cause di forza maggiore, condizioni climatologiche od altre simili circostanze speciali” (comma 1), o quando sussistano “ragioni di pubblico interesse o necessità” (comma 2), e, mentre in riferimento alla prima ipotesi la sospensione deve cessare non appena vengano meno le circostanze che l’hanno determinata, per la seconda ipotesi la norma si limita ad individuare una durata massima, variabile in proporzione alla durata complessiva dei lavori, e comunque non superiore a sei mesi complessivi, trascorsa la quale è riconosciuta all’appaltatore la facoltà di chiedere lo scioglimento del contratto, e, nel caso in cui l’Amministrazione si sia a ciò opposta, il conseguente diritto alla rifusione dei maggiori oneri; disciplina differente che si giustifica in funzione della diversa natura delle ragioni sottese all’adozione del provvedimento di sospensione, obiettivamente riscontrabili nel primo caso – e quindi suscettibili di accertamento anche da parte del Giudice ordinario – e non sindacabili nel secondo, senza ciò si traduca nell’invasione dello ambito riservato all’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione (cfr. Cass. n. 16366 del 2014). 4. La giurisprudenza di legittimità ha sempre, poi, evidenziato che l’opzione data all’appaltatore dal D.P.R. n. 1063, art. 30, comma 2 – richiesta di scioglimento del contratto senza indennità e diritto al risarcimento dei danni nel caso di opposizione da parte dell’Amministrazione – si riferisce solo all’ipotesi di sospensione ab initio legittimamente disposta e limitatamente al caso in cui il suo protrarsi sia legittimo, in quanto correlato al perdurare di quelle ragioni, e non a fatto imputabile alla stazione appaltante: in tale evenienza, infatti, torna ad applicarsi la normativa codicistica sull’inadempimento delle obbligazioni e deve riconoscersi all’appaltatore, oltre al diritto ad una congrua proroga del termine per l’ultimazione dell’opera ed al rimborso delle maggiori spese, anche il ricorso ai rimedi di carattere generale, quali la risoluzione del contratto (artt. 1453 c.c. e segg.) ed il risarcimento del danno (Cass. n. 14574 del 2010 e giurisprudenza richiamata e, in generale Cass. n. 3611 del 2017).

[26] Art. 23.  Sospensione dell’esecuzione

  1. Il direttore dell’esecuzione, quando ordina la sospensione dell’esecuzione nel ricorso dei presupposti di cui all’articolo 107, comma 1, del codice, indica, nel verbale da compilare e inoltrare al RUP ai sensi dello stesso articolo 107, comma 1, del codice, oltre a quanto previsto da tale articolo, anche l’imputabilità delle ragioni della sospensione e le prestazioni già effettuate.
  2. Il contratto deve contenere una clausola penale nella quale sia quantificato il risarcimento dovuto all’esecutore nel caso di sospensioni totali o parziali delle prestazioni disposte per cause diverse da quelle di cui ai commi 1, 2 e 4 dell’articolo 107 del codice. Si applicano i criteri di quantificazione di cui all’articolo 10, comma 2, in quanto compatibili.
  3. Non appena siano venute a cessare le cause della sospensione, il direttore dell’esecuzione lo comunica al RUP affinché quest’ultimo disponga la ripresa dell’esecuzione e indichi il nuovo termine contrattuale. Entro cinque giorni dalla disposizione di ripresa dell’esecuzione effettuata dal RUP, il direttore dell’esecuzione procede alla redazione del verbale di ripresa dell’esecuzione del contratto, che deve essere sottoscritto anche dall’esecutore e deve riportare il nuovo termine contrattuale indicato dal RUP. Il direttore dell’esecuzione trasmette tale verbale al RUP entro cinque giorni dalla data della relativa redazione.

[27] Art.162 .1. Indipendentemente dalle ipotesi previste dall’articolo 132 del codice, la stazione appaltante può sempre ordinare l’esecuzione dei lavori in misura inferiore rispetto a quanto previsto nel contratto, nel limite di un quinto dell’importo di contratto come determinato ai sensi dell’articolo 161, comma 4, del presente regolamento, e senza che nulla spetti all’esecutore a titolo di indennizzo.

[28] TAR UMBRIA Perugia-Sezione I – 28.10.2016 n.677. L’appaltatore è tenuto nei limiti del c.d. “quinto d’obbligo” all’esecuzione alle medesime condizioni del contratto dei lavori aggiuntivi, potendo oltre tale importo chiedere la risoluzione del rapporto ( art. 161 c. 12, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207). Di contro, soltanto per le varianti di cui al comma 1, lett. e) (errori di progettazione) dell’ art. 132 del D.Lgs. n. 163 del 2006, eccedenti il quinto dell’importo originario del contratto, il soggetto aggiudicatore procede alla risoluzione del contratto e indice una nuova gara, alla quale è invitato l’aggiudicatario iniziale. Ciò non impedisce, in termini generali, la possibilità di uno “iusvariandi” per importi superiori al quinto, ma occorre il necessario consenso dell’appaltatore oltre che della stessa stazione appaltante, mediante la redazione e approvazione di una perizia di variante quale atto aggiuntivo al contratto d’appalto, ai sensi dell’ art. 161 c. 4, del D.P.R. n. 207 del 2010 (cfr. Cassazione civ. sez. I, 18 maggio 2016, n. 10165).

Corte dei Conti Sez. contr., 12/01/1989, n. 2061. Gli art. 11, r. d. 18 novembre 1923 n. 2440 e 344, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F stabiliscono che, occorrendo in corso di esecuzione di un contratto di appalto di opere pubbliche un aumento o una diminuzione delle opere, l’appaltatore è obbligato ad assoggettarvirsi fino a concorrenza del quinto del prezzo di appalto alle stesse condizioni del contratto, mentre oltre tale limite ha diritto alla risoluzione del contratto stesso; peraltro, ove non chieda di recedere dal contratto o di proseguirlo a nuove condizioni, le maggiori opere, ai sensi dell’art. 14 d. p. r. 16 luglio 1962, n. 1063 (capitolato generale del ministero dei lavori pubblici) si intendono assunte alle stesse condizioni del contratto.

Si ricorda come, riguardo al così detto “quinto d’obbligo” gli  articoli 11 del Regio decreto n. 2440/1923  e 120 del Regio decreto n. 827/1924, sono stati abrogati solo ad aprile 2016 dal D.Lgs 50/2016.

[29] Art.106 comma 7. Nei casi di cui al comma 1, lettere b) e c), per i settori ordinari il contratto può essere modificato se l’eventuale aumento di prezzo non eccede il 50 per cento del valore del contratto iniziale. In caso di più modifiche successive, tale limitazione si applica al valore di ciascuna modifica. Tali modifiche successive non sono intese ad aggirare il presente codice.

Scritto da Roberto Donati

Laureato in scienze politiche, appassionato di diritto con esperienza ventennale nella pubblica amministrazione in qualità di responsabilità del settore gare ed appalti, ed attuale responsabile del servizio Affari Generali della Siena Parcheggi Spa (società in house del Comune di Siena).