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Il provvedimento interdittivo deve essere tempestivo!

Tar Lazio, Roma, Sez. I , 19 / 09 /2019 , n.11096

L’impresa ricorre contro il provvedimento interdittivo a contrarre con le Pubbliche Amministrazioni e a partecipare a gare pubbliche , adottato ai sensi dell’art. 14, comma 1, d.lgs. n. 81/2008 (tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro).

Il provvedimento era stato adottato dopo un provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, emesso a gennaio 2018, dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro, poi revocato a febbraio 2018 per intervenuta regolarizzazione e pagamento della relativa sanzione.

Per la ricorrente il provvedimento impugnato è illegittimo, in quanto intervenuto a molta distanza (dieci mesi) dall’accertamento ispettivo, in violazione della circolare n. 1733 del 3 novembre 2006, dell’art. 1 della legge n. 241/20 e dell’art. 97 della Costituzione.

Inoltre il provvedimento interdittivo è da considerarsi illegittimo, avendo una motivazione incompleta, che si basa sul richiamo ad atti non resi a lei disponibili, riferendosi solo in maniera generica alla documentazione istruttoria pervenuta dal Provveditorato, in violazione anche del principio generale di cui all’art. 3 l. n. 241/90.

Tar Lazio, Roma, Sez. I , 19 / 09 /2019 , n.11096 accoglie il ricorso.

Le difese dell’Amministrazione, infatti, non forniscono elementi di novità per derogare dall’orientamento di questa Sezione in argomento (Tar Lazio, Sez. I, 14.2.18, n. 1733).

E’ stato infatti chiaramente sostenuto – anche con richiami a precedenti statuizioni – che è certamente invocabile per il procedimento per cui è causa l’applicazione della circolare n. 1733 del 3 novembre 2006, con la quale il Ministero aveva diramato i relativi indirizzi operativi in merito all’applicazione dell’art. 14 cit.

Tale circolare prevede che, per quanto concerne le modalità di svolgimento del procedimento, l’Amministrazione si deve attivare entro 45 giorni dalla data di ricezione del provvedimento di sospensione, con successivo provvedimento finale da emanarsi “tempestivamente”, una volta acquisita tutta la documentazione.

Se è vero, quindi, che il richiamato termine di 45 giorni – peraltro non perentorio dato che nella Circolare è usata l’espressione “normalmente”, e quindi, con ciò, prendendo in considerazione possibili deroghe – è riferito esclusivamente al “…tempo di elaborazione della Relazione sintetica da parte del Provveditorato competente…”, la stessa fonte specifica che il provvedimento finale deve essere emanato “tempestivamente”.

Ciò sta a significare che, trascorso un lasso di tempo ragionevole dalla ricezione della documentazione, è certamente applicabile il principio generale di “celerità” insito in ogni attività della p.a., anche ai sensi dell’art. 97 Cost., e comunque richiamato nella Circolare.

Ne consegue che ogni provvedimento che non lo rispetti deve essere congruamente motivato sulle ragioni del ritardo, anche in osservanza dell’ulteriore principio generale di ”affidamento” che deve legare i rapporti tra privato e p.a.

Tale tempestività deve essere ragionevolmente valutata, nel senso che possa essere derogata solo in presenza di giustificazioni oggettive per la sua mancata osservanza (Tar Lazio, Sez. I, 2.5.17, n. 5054 e 24.5.16, n. 6066 nonché ord. n. 131/2017 e Sez. III, 5.07.12, n. 6121).

Tale conclusione appare logica anche in relazione alla considerazione per la quale deve sussistere per i soggetti interessati una sostanziale certezza della situazione giuridica conseguente alla riscontrata violazione, perché il trascorrere di un lasso di tempo ingiustificato e consistente potrebbe incidere negativamente anche sulla programmazione della stessa attività d’impresa (Tar Lazio, Sez. I, n. 5054/17 cit.).

Tale circostanza non è riscontrabile nella presente fattispecie, perché il provvedimento è stato adottato ad ottobre 2018, a distanza di sei mesi, senza alcuna motivazione sulle ragioni della mancata conclusione “tempestiva”.

Ciò porta a ritenere la fondatezza anche di quanto dedotto con il secondo motivo di ricorso sulla carenza di motivazione.

In merito, si rammenta che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 310/2010, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 14 d.lgs. cit. proprio nella parte in cui escludeva l’applicazione dell’art. 3, comma 1, della legge n. 241/90, per quanto dedotto nel giudizio “a quo”.

La Corte, infatti, nel dispositivo, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 1, d.lgs. cit. “…nella parte in cui, stabilendo che ai provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale previsti dalla citata norma non si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241…esclude l’applicazione ai medesimi provvedimenti dell’articolo 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990.”

Ne consegue che la relativa doglianza proposta dalla ricorrente si palesa fondata, in quanto nel provvedimento impugnato non è indicata alcuna motivazione sulle ragioni per le quali un atto, che peraltro incideva pesantemente sulla programmazione di un’impresa, quale era quello di interdizione a contrarre con le pubbliche amministrazioni – che l’Amministrazione stessa qualifica come “dovuto” – era stato adottato a ben sei mesi di distanza dal completamento della fase istruttoria.

Per quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto, con compensazione integrale delle spese.

Scritto da Roberto Donati

Laureato in scienze politiche, appassionato di diritto con esperienza ventennale nella pubblica amministrazione in qualità di responsabilità del settore gare ed appalti, ed attuale responsabile del servizio Affari Generali della Siena Parcheggi Spa (società in house del Comune di Siena).