L’appellante chiede il risarcimento dei danni da essa subiti in conseguenza della decisione di non aggiudicazione della procedura di gara avente ad oggetto la progettazione definitiva ed esecuzione di lavori.
I pregiudizi di cui è chiesta la riparazione, riconnessi all’illegittima mancata aggiudicazione della gara in favore della deducente, sono stati articolati su:
– danno emergente;
– lucro cessante;
– danno curriculare
In via alternativa, essa ha chiesto il risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale della stazione appaltante, da commisurarsi alle spese sostenute e alla chance perduta.
Consiglio di Stato, Sez. V, 19/12/2024, n. 10205 respinge l’appello:
2. L’appello è infondato.
Premette il Collegio che per pacifica e condivisa giurisprudenza amministrativa, anche di questa Sezione: “Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell’agire illegittimo della pubblica amministrazione; ed infatti per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico” (C.d.S., V, 21.8.2024, n. 7195. In termini confermativi, C.d.S., IV, 31.5.2024, n. 4908; C.d.S., IV, 12.9.2023, n. 8282).
In punto di individuazione dei criteri di riparto dell’onere della prova, trova poi piena applicazione il principio dispositivo, il quale non è in questa sede temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento. Quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra Amministrazione e privato, la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c. Ne consegue che sulla parte ricorrente grava l’onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell’Amministrazione per fatto illecito delineata dall’art. 2043 c.c, nel cui alveo deve essere ricondotta la domanda. È quindi necessario verificare, con onere della prova a carico del (presunto) danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, così individuabili: il fatto illecito; l’evento dannoso ingiusto e il danno patrimoniale conseguente; il nesso di causalità tra il fatto illecito e il danno subito; la colpa dell’apparato amministrativo.