La qualificazione dell’atto in termini di concessione amministrativa di bene pubblico comporta l’applicabilità delle norme e dei principi privatistici in materia di contratto di locazione per uso commerciale di cui alla legge n. 392/1978 nei limiti della compatibilità, alla luce dei principi ritraibili dal diritto europeo dell’evidenza pubblica e della concorrenza.
Per cui le clausole convenzionali contrastanti con i principi euro-unitari non possono giustificare l’esistenza del diritto al rinnovo della concessione a condizioni economiche prestabilite né tantomeno del diritto alternativo alla corresponsione di un’indennità sostitutiva.
Questo quanto stabilito da Consiglio di Stato, Sez. VII, 16/08/2024, n. 7151, nell’accogliere l’appello:
11. Anche il secondo motivo di appello è fondato.
L’immobile in relazione al quale era stata rilasciata la concessione d’uso, oggi scaduta, fa parte del complesso immobiliare denominato Galleria Vittorio Emanuele II, che rappresenta un bene monumentale di “interesse storico artistico ed architettonico”.
La qualificazione dell’atto in termini di concessione amministrativa di bene pubblico comporta l’applicabilità delle norme e dei principi privatistici in materia di contratto di locazione per uso commerciale di cui alla legge n. 392/1978 nei limiti della compatibilità, alla luce dei principi ritraibili dal diritto europeo dell’evidenza pubblica e della concorrenza.
Nel caso all’esame, non sussistono ragioni per discostarsi dal precedente specifico deciso da questa Sezione con la sentenza n. 10314/2023.
Diversamente dalla odierna controversia, in quel caso era accaduto che il Tar adito avesse respinto il ricorso di primo grado e che questa Sezione ne avesse confermato la decisione, respingendo l’appello del privato concessionario.
Il principio di diritto sulla cui base è stata decisa la controversia è tuttavia il medesimo, essendo le fattispecie sovrapponibili in fatto.
In particolare, detto principio si incentra sulla considerazione che l’accoglimento della domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo presuppone l’applicazione del principio eurounitario secondo cui la scelta del concessionario deve sempre avvenire mediante l’espletamento di procedure di evidenza pubblica, nonché su quella secondo cui detto principio verrebbe surrettiziamente eluso ove si consentisse alle parti di stipulare clausole convenzionali accessive al titolo concessorio che prevedano il diritto del concessionario alla corresponsione di un equo indennizzo, in via alternativa o sostitutiva rispetto al mancato rinnovo o alla rinuncia ad esso, anche nei casi, come quello che qui ricorre, in cui il rinnovo non spetterebbe.
Inoltre, il medesimo principio è stato fatto oggetto di applicazione da parte di questo Consiglio di Stato anche in sentenze precedenti, le quali pure, anch’esse, vanno richiamate quali precedenti specifici e conformi ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a. (si tratta, in particolare, delle sentenze nn. 7339 e 7340 del 2021).
In detti pronunciamenti il Consiglio di Stato ha chiaramente affermato il principio di diritto secondo cui “Le clausole convenzionali contrastanti con i principi euro-unitari non possono dunque giustificare l’esistenza del diritto al rinnovo della concessione a condizioni economiche prestabilite né tantomeno del diritto alternativo alla corresponsione di un’indennità sostitutiva in caso di rinuncia al rinnovo, il quale logicamente presuppone la sussistenza del diritto al rinnovo”, nel solco del consolidato indirizzo esegetico secondo cui i principi euro-unitari si impongono al rispetto degli Stati membri pure nel caso, che qui ricorre, in cui la clausola di riconoscimento dell’equo indennizzo in caso di rinuncia al rinnovo sia stata stipulata in epoca antecedente all’adozione della deliberazione con la quale il Comune ha deciso di adeguare le concessioni demaniali in essere ai detti principi.
Anche in questo caso, quindi, deve ritenersi che non sussista alcuna situazione di legittimo affidamento tutelabile in capo al concessionario in ordine alla corresponsione del detto indennizzo in mancanza del necessario presupposto della legittimità del rinnovo.
Altrimenti opinando, ove cioè si riconoscesse il diritto del concessionario alla detta spettanza, l’applicazione della clausola si risolverebbe in una surrettizia elusione delle regole di evidenza pubblica che presiedono alla scelta del concessionario, finendo con l’attribuirgli una provvidenza economica che certamente non gli sarebbe spettata sulla base della disciplina pubblicistica del rinnovo dei contratti.